La tutela del marchio è fondamentale per proteggere l’identità di una filiera, distinguere i propri prodotti da quelli della concorrenza e salvaguardarne la reputazione, impedendo che terzi ne sfruttino indebitamente la notorietà.
La concorrenza sleale si riferisce a pratiche commerciali ingannevoli e scorrette che danneggiano i concorrenti o i consumatori.
Tale pratica può manifestarsi nelle diverse forme della pubblicità ingannevole della confusione e della sottrazione di clienti. Peraltro, la concorrenza sleale è un tema così cruciale che oltre agli aspetti legali, solleva anche questioni etiche relative al comportamento delle imprese nel mercato.
Indice
Intersezione tra marchio e concorrenza sleale
La tutela del marchio e la prevenzione della concorrenza sleale sono tra loro strettamente interconnesse.
Pratiche di concorrenza sleale possono, infatti, includere violazioni dei diritti sui marchi, come ad esempio l’uso non autorizzato di un marchio registrato o la creazione di confusione tra i consumatori.
In sintesi entrambe le aree mirano a garantire un mercato equo e a proteggere i diritti dei titolari di marchi e delle imprese in generale, promuovendo la lealtà commerciale e la trasparenza nei rapporti economici.
Marchio e contraffazione: la nota vicenda Diesel contro Calvin Klein
Quanto anticipato è alla base di una recente vicenda giudiziaria che ha focalizzato l’attenzione su questi temi: con l’ordinanza n. 3395 del 10 febbraio 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla nota diatriba tra le case di moda Diesel e Calvin Klein riguardo all’uso di una particolare etichetta apposta sui jeans prodotti dalle due aziende.
Il caso Diesel contro la maison americana Calvin Klein ha assunto una rilevante importanza per aver ribadito alcuni principi fondamentali della tutela del marchio e della concorrenza leale. Nella propria decisione, la Cassazione ha inteso sottolineare che la protezione di un marchio deve basarsi su elementi di distintività evidenti e chiari per poter godere di una tutela ampliata, e che la somiglianza visiva tra due segni non è di per sé sufficiente a determinare una contraffazione. La decisione ha, in particolare, suscitato un acceso dibattito nel settore della moda, evidenziando la complessità nel delimitare i confini della tutela del marchio, soprattutto quando il segno presenta più ampie caratteristiche rispetto ad un segno tradizionale.
Il contesto della controversia: le posizioni delle due parti avversarie
La nota casa di moda Diesel ha agito in giudizio contro la società concorrente Calvin Klein per contraffazione e concorrenza sleale, sostenendo che quest’ultima utilizzava un segno distintivo simile al proprio marchio per forma e posizionamento. Il segno contestato era costituito da una etichetta/striscia di tessuto, cosiddetta “stripe”, apposta in senso orizzontale su una tasca anteriore dei pantaloni prodotti da Calvin Klein.
La contestazione di Diesel muoveva dal fatto che la stessa era titolare di un marchio figurativo costituito proprio da un’etichetta trasversale (chiamata “stripe”) e rappresentata precisamente da una striscia di tessuto posizionata diagonalmente sulla quinta tasca antero-laterale dei jeans.
Secondo Diesel, l’etichetta utilizzata dal competitor Calvin Klein era molto simile per forma e per posizionamento al proprio marchio registrato, con l’unica differenza che l’etichetta di Calvin Klein era in posizione orizzontale. L’uso del segno da parte di Calvin Klein generava confusione tra i consumatori, e tale somiglianza costituiva una violazione del proprio diritto di esclusiva sul marchio, tale per cui Calvin Klein stava beneficiando indebitamente della reputazione del proprio brand.
Per contro, dal canto suo Calvin Klein affermava che la sua stripe si differenziava da quella della Diesel per la sua orizzontalità, per la posizione vicina all’estremità superiore della tasca, per il colore simile a quello dei jeans e non in contrasto con essi e per la presenza dell’elemento denominativo “Calvin Klein”.
Le decisioni in sede di merito sulla contraffazione e concorrenza sleale
Sia il giudice di prima cure (Tribunale di Milano) che la Corte d’Appello meneghina hanno respinto le accuse di contraffazione e di concorrenza sleale presentate da Diesel.
La Corte d’Appello, concordando con quanto già sostenuto in precedenza dal Tribunale di Milano, ha ritenuto validi e pienamente tutelabili i segni di fatto di Calvin Klein e quelli registrati di titolarità della Diesel.
L’analisi della confondibilità tra i marchi deve basarsi sulla percezione del consumatore medio ragionevolmente attento ed avveduto.
A giudizio della Corte d’Appello, l’etichetta Calvin Klein non riproduce né l’elemento distintivo diagonale né altre caratteristiche rilevanti della stripe Diesel. In aggiunta, l’etichetta Calvin Klein è sempre accompagnata dall’elemento denominativo “Calvin Klein” e ciò offre un valido contributo per ridurre il rischio di confusione.
I giudici d’appello hanno, inoltre, negato la confusione tra i due marchi da parte del consumatore anche in ragione del fatto che i jeans delle due case di moda vengono venduti in negozi dedicati ovvero in aree ben definite e delimitate.
Analogamente alla domanda di contraffazione, anche la domanda di concorrenza sleale è stata ritenuta infondata sul presupposto che gli illeciti concorrenziali evocati dalla società Diesel si sovrappongono alle accuse di contraffazione del marchio, con la conseguenza che non hanno introdotto alcun elemento aggiuntivo né di pregiudizio nè di disvalore.
Diesel ha quindi impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, convalidando le proprie argomentazioni.
La decisione della Corte di Cassazione
Anche la Suprema Corte di Cassazione, respingendo il ricorso della Diesel, ha stabilito l’assenza di ogni rischio di confusione tra i segni in questione e ha basato la propria decisione su diversi fattori determinanti.
- Preliminarmente, i giudici di legittimità hanno rilevato una pluralità di differenze tra l’etichetta di Calvin Klein e quella della concorrente Diesel: la stripe di Diesel era in posizione diagonale sulla tasca, mentre quella di Calvin Klein era orizzontale e accompagnata dal nome del brand, elemento che ne rafforzava l’identità.
- Diesel aveva inoltre sostenuto che la propria stripe godesse di una intensa notorietà e rinomanza che ne giustificavano una protezione rafforzata.
Secondo la Cassazione, affinché un marchio possa beneficiare di una simile tutela, occorre dimostrare che il segno sia fortemente riconosciuto dal pubblico dei consumatori e che dall’uso da parte di terzi ne derivi uno sfruttamento indebito della sua notorietà. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che Diesel non aveva fornito elementi probatori sufficienti per dimostrare che la sua stripe fosse un segno altamente conosciuto da ricevere una protezione rafforzata.
- Altro elemento fondamentale valutato nella decisione assunta dalla Cassazione ha riguardato il comportamento dei consumatori.
La Corte ha rilevato che gli acquirenti di jeans di fascia medio-alta prestano particolare attenzione ai dettagli e alla qualità del prodotto, rendendosi così improbabile una confusione tra i due marchi. L’attenzione dei clienti di marchi di moda premium si concentra, in particolare, su una serie di caratteristiche, tra cui il design complessivo, la qualità dei materiali e la presenza di loghi o segni distintivi ben visibili. Tali argomentazioni hanno indotto i giudici di legittimità a concludere che il pubblico non avrebbe confuso i prodotti delle due aziende.
[Si veda anche L’importanza della percezione del consumatore nei confronti di un marchio di posizione]
- Da ultimo, la Cassazione ha riconosciuto il marchio Diesel come figurativo e non di forma o di posizione.
La distinzione tra le diverse tipologie di marchio è essenziale nella valutazione della loro tutela. I marchi di posizione si caratterizzano per l’uso costante di un elemento grafico in un determinato punto del prodotto e possono godere di protezione soltanto se acquisiscono una specifica distintività. A giudizio della Corte, la stripe non poteva essere considerata un marchio tridimensionale e il suo posizionamento diagonale non era sufficiente a conferirgli un’esclusiva assoluta.
Sui marchi di posizionamento, la Cassazione ne ha ammesso la validità nella misura in cui siano ben descritti nel loro oggetto, corrispondano a segni effettivamente distintivi e non a meri elementi ornamentali dei prodotti. La Cassazione fa rientrare i marchi di posizionamento tra i c.d. “marchi deboli” per i quali è sempre complesso ottenerne adeguata tutela e per la cui contraffazione è necessario che i segni contestati presentino un grado di somiglianza molto elevato tanto in termini di posizionamento che in termini di somiglianza visiva complessiva.
Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione si pone come una sorta di guida e di insegnamento per le aziende operanti nel settore della moda e non solo, che sono tenute ad impostare le loro strategie di tutela dei propri marchi con una particolare attenzione alla creazione di segni distintivi molto forti e supportati da prove concrete della loro notorietà.
Per stabilire una violazione, non basta una somiglianza superficiale tra due segni distintivi, ma è necessario dimostrare un rischio concreto di confusione per i consumatori.
[Si veda anche Il marchio nel settore vitivinicolo: rischio di confusione tra marchi]
Tale vicenda offre un importante insegnamento circa la strategia di branding delle aziende: affinché un marchio possa ottenere una protezione rafforzata, è essenziale che venga promosso in modo chiaro e coerente, in modo tale da creare un forte legame tra il segno distintivo e il brand.
È fondamentale per le aziende compiere importanti investimenti non soltanto nella creazione di elementi distintivi riconoscibili, ma anche nella comunicazione e nel marketing, per rafforzarne l’associazione con il proprio brand.