L’evoluzione normativa della pubblicità sanitaria ha progressivamente aperto alla possibilità di comunicazione dei servizi sanitari, ma nel rispetto di criteri di trasparenza, correttezza e veridicità, e vietando il ricorso a elementi attrattivi e suggestivi idonei a limitare la capacità di autodeterminazione del paziente.
Tali elementi, infatti, sono considerati tipici della pubblicità commerciale e non di quella sanitaria che deve avere natura esclusivamente informativa: a tal proposito portiamo un caso emblematico in materia.
La Cassazione Civile, ha confermato la sanzione disciplinare della sospensione, comminata dall’Ordine professionale di La Spezia, in capo a un odontoiatra per l’utilizzo di pratiche pubblicitarie ritenute ingannevoli e non conformi ai principi deontologici degli art. 55 e 56.
Al professionista sono state mosse più contestazioni e, in questa sede, ci soffermeremo su quelle relative agli aspetti economici delle prestazioni sanitarie inserite nella pubblicità cassata.
Indice
I contenuti errati della pubblicità e le motivazioni dell’ordinanza
Nella comunicazione pubblicitaria in argomento il dottore aveva inserito espressioni come “servizi low-cost” e riferimenti a prestazioni gratuite, conferendo loro anche una particolare enfasi grafica per aumentare la visibilità.
La Cassazione, dando ragione all’Ordine professionale, ha confermato che questi contenuti sono capaci di:
“[…] persuadere il possibile cliente attraverso concetti comunicativi emozionali, basati su elementi eccedenti l’ambito informativo previsto dal Codice deontologico e che concretizzavano un tentativo di accaparramento di clientela attraverso un mezzo illecito, con un immagine ridicolizzante la professione.”
In altre parole, la Corte ha ritenuto che con una simile pubblicità l’utente possa essere indotto a sottoporsi a un trattamento sanitario solo sulla base della convenienza economica del servizio e non per la tutela della propria salute.
Inoltre, sebbene l’art. 54 Codice deontologico consenta l’erogazione di prestazioni gratuite, tale possibilità non può diventare una mera modalità di fidelizzazione e accaparramento di clientela.
L’ordinanza in esame ha rilevato un caso di indebito accaparramento di clientela, poiché la comunicazione in questione è stata diffusa al grande pubblico attraverso la pubblicità, anziché rappresentare una scelta mirata del professionista verso un singolo paziente.
L’impatto commerciale di questa pubblicità è determinato anche dalla sua presentazione grafica e dall’effetto visivo che essa genera.
In passato, gli enti competenti hanno contestato il design delle comunicazioni pubblicitarie non solo per la presenza di elementi non conformi, ma anche per l’enfasi eccessiva su contenuti legittimi, come il costo delle prestazioni, anche quando non soggetti a sconti.
Conclusioni
Il caso del dottor A.A., quindi, è esemplificativo di come l’uso improprio degli strumenti pubblicitari in ambito sanitario possa compromettere la dignità e il decoro professionale, con conseguenti sanzioni disciplinari.
ll provvedimento ha riconosciuto la libertà nell’eseguire la comunicazione pubblicitaria, ma ha ribadito i limiti entro cui deve muoversi la stessa a tutela del paziente e della professionalità.
Si noti che l’epoca dei fatti, risalente al 2014, è antecedente alla l. n. 145/2018.
Pertanto, ancora non vi era un divieto espresso all’uso di elementi promozionali e suggestivi (oggi attrattivi e suggestivi), ma anche attraverso provvedimenti come questi, si sono poste le basi giuridiche per l’individuazione degli strumenti aventi natura commerciale e non informativa.