Il panorama normativo della pubblicità sanitaria è stato discusso nel corso del convengo AboutHealth e contenti di questa esperienza, e del positivo riscontro, si vogliono “fissare” i principi legislativi maggiormente rilevanti insieme ad osservazioni ed esempi pratici.
Indice
Il c.d. Decreto Bersani
Tra le disposizioni più importanti nell’ambito troviamo il c.d. Decreto Bersani, D.L. n. 223/2006, noto per aver liberalizzato la pubblicità sanitaria precedentemente molto limitata.
L’art. 2, c. 1,lett. (B del Decreto, infatti, consente lo svolgimento di:
“[…] pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;”.
L’utente/consumatore, nell’impostazione del Decreto, deve ottenere dalla pubblicità tutte quelle informazioni utili a scegliere liberamente se ritiene di avere bisogno di accedere a delle cure e presso quale struttura rivolgersi, senza essere influenzato da elementi superflui, ingannevoli o non trasparenti.
La comunicazione sanitaria, dunque, è inquadrata come lo strumento informativo e di confronto delle diverse offerte presenti sul mercato, a garanzia della libertà di autodeterminazione dell’utente, nonché della concorrenza leale tra gli operatori economici (sanitari) che non dovrebbero potersi “fare spazio” con comunicazioni non idonee a dare delucidazioni.
Entro tali modalità, la pubblicità sanitaria può essere fatta con ogni mezzo (stampa, siti web, social media).
L’articolo 1, comma 525 della legge n. 145/2018: le criticità e la modifica
In ottica di rinforzo della tutela del consumatore è intervenuto l’art. 1, comma 525, della l. n. 145/2018, recentemente modificato dal D.L. n. 69/2023, che ha introdotto ulteriori parametri di legittimità della pubblicità sanitaria incidendo, non poco, sulla libertà redazione dei contenuti reclamistici.
Nella sua prima versione, la l. n. 145/2018 all’art. 1, comma 525, stabiliva che:
“Le comunicazioni informative da parte delle strutture sanitarie private di cura e degli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie di cui al capo II della legge 11 gennaio 2018, n. 3, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attività, comprese le società di cui all’articolo 1, comma 153, della legge 4 agosto 2017, n. 124, possono contenere unicamente le informazioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria.”
Con tale novella, da un lato sono stati confermati i contenuti della pubblicità sanitaria già indicati dall’art. 2 del Decreto Bersani, ovvero i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni (resi con trasparenza e veridicità).
Dall’altro lato la comunicazione sanitaria è stata convertita in uno strumento funzionale alla sicurezza delle cure, dunque, in un mezzo a tutela della salute del consumatore: a tal fine è stato vietato il ricorso a elementi “promozionali o suggestivi”.
Non sono state poche le difficoltà applicative di tale articolo sia perché la garanzia della sicurezza dei trattamenti sanitari non è uno scopo tipico della pubblicità (e, ad avviso di chi scrive, nemmeno pretensibile), sia perché non sono parsi chiari sin da subito i confini degli aggettivi promozionale e suggestivo.
Il termine promozionale è sembrato addirittura in conflitto con l’intrinseco effetto di rendere noto – appunto, promuovere – presso una platea indistinta di persone l’esistenza di un servizio, tanto da generare un possibile effetto restrittivo delle iniziative pubblicitarie.
Nel tempo, anche attraverso il lavoro interpretativo degli Ordini professionali, si sono individuati alcuni contenuti promozionali, quali offerte speciali o sconti, e si è data una lettura all’aggettivo suggestivo come quell’elemento con capacità particolarmente persuasive tali da influenzare il consumatore su basi acritiche ed emotive.
Nonostante ciò, le criticità della riforma non erano appianate.
La Commissione Europea, nel caso NIF 2020/4008, e la AGCM, nel Bollettino Settimanale Anno XXXIII – n. 26, hanno, infatti, ritenuto che l’art. 1, c. 525, provocasse una indebita restrizione del mezzo pubblicitario contrastando con il diritto della libera circolazione dei servizi.
Non solo, l’Autorità Antitrust ha anche riconosciuto che la pubblicità non può avere la funzione di garantire la sicurezza delle cure di competenza, invece, degli esercenti le professioni sanitarie.
Il legislatore è così intervenuto sull’art. 1, c. 525, l. n. 145/2018, con il menzionato D.L.. n. 69/2023 prescrivendo che la pubblicità sanitaria deve essere funzionale
“[…] a garantire il diritto ad una corretta informazione sanitaria, restando escluso, nel rispetto della libera e consapevole determinazione dell’assistito, della dignità della persona e del principio di appropriatezza delle prestazioni sanitarie, qualsiasi elemento di carattere attrattivo e suggestivo, tra cui comunicazioni contenenti offerte, sconti e promozioni, che possa determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari.”.
[vedi anche Pubblicità delle strutture sanitarie private: le novità del 2023]
La nuova formulazione della disposizione, accogliendo le osservazioni summenzionate, ripristina la finalità della pubblicità quale veicolo informativo, elimina l’aggettivo “promozionale”, conferma il rinvio ai contenuti elencati dall’art. 2 del Decreto Bersani.
Inoltre, la norma vieta il ricorso a elementi “attrattivi e suggestivi” che siano capaci di influenzare il consumatore bypassando la sua sfera razionale e inducendolo ad un ricorso improprio a prestazioni sanitarie.
In attesa di risvolti applicativi da parte degli Enti di competenza, si può già rilevare che la riforma dell’art. 1, c. 525 potrebbe ridurre l’effetto restrittivo della mera attività pubblicitaria. L’eliminazione del concetto di promozionalità, invero, dovrebbe sollevare dal dubbio di non poter promuovere presso il pubblico le prestazioni e i servizi sanitari.
Inoltre, la diretta identificazione di alcuni elementi illeciti, come gli sconti, dovrebbe diminuire le incertezze rispetto al riconoscimento di comunicazioni, o parti di esse, non conformi a normativa da parte degli Enti di vigilanza.
Con il divieto di veicolazione di contenuti pubblicitari connotati contemporaneamente da attrattività e suggestività, invece, sembra non essere stata superata l’incertezza interpretativa che caratterizzava anche la versione precedente dell’articolo.
In linea generale è possibile sostenere che il consumatore non deve sentirsi indotto a a sottoporsi ad un trattamento sanitario solo sulla base delle necessità generate appositamente dalla comunicazione sanitaria, tuttavia, la dicitura normativa non agevola l’individuazione di specifici casi in cui si ritenga pacifica la concretizzazione di un simile effetto.
Nota bene: l’obbligo di indicazione del nominativo del Direttore Sanitario
Da ultimo, si evidenzia l’art. 4, c. 2, della l.n. 175/1992 sopravvissuto, secondo consolidata giurisprudenza, all’abrogazione del resto del testo legislativo da parte del decreto Bersani.
Tale disposizione impone l’obbligo di inserimento del nominativo e dei titoli professionali del direttore sanitario in ogni pubblicità sanitaria, pena la sospensione dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività sanitaria per un periodo da sei mesi ad un anno.
Si noti che, presso le strutture poliambulatoriali che si occupano sia di medicina che di odontoiatria, nella pubblicità dovranno essere recate le informazioni del direttore sanitario responsabile per la branca medica e quelle del direttore responsabile per la branca odontoiatrica.
Sintesi dei contenuti della pubblicità sanitaria
Alla luce delle norme appena analizzate, la pubblicità delle strutture sanitarie e dei professionisti (come farmacisti, odontoiatri, medici) può contenere:
- i titoli e le specializzazioni dei professionisti che erogano le proprie prestazioni all’interno della struttura, come “medico specialista in dermatologia”. Con l’avvento delle società titolari di strutture sanitarie, in tale voce è consigliabile comprendere anche le informazioni della struttura sanitaria di riferimento quali, ad esempio, la denominazione, la ragione sociale, l’indirizzo;
- le caratteristiche del servizio offerto, ad esempio un elenco delle prestazioni sanitarie disponibili, gli orari di apertura della struttura, i contatti;
- il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni;
- il nome e titoli professionali del direttore sanitario (Albo professionale di iscrizione, numero di matricola).
Tali contenuti della pubblicità devono avere le seguenti caratteristiche:
- devono essere trasparenti, veritieri e non denigratori;
- non devono essere attrattivi e suggestivi in generale, e in particolare non devono consistere in offerte, sconti e promozioni;
- devono rispettare il diritto a una corretta informazione sanitaria e la consapevole determinazione dell’assistito;
- devono rispettare la dignità della persona e del principio di appropriatezza delle prestazioni sanitarie.
Pubblicità sanitaria: un esempio commentato
Ora, analizzate le disposizioni di settore e individuato schematicamente come può essere realizzata una pubblicità sanitaria, vediamo insieme un esempio di comunicazione con alcuni contenuti non conformi.
Uno dei primi contenuti che salta all’occhio è il titolo, “Il sollievo di una pelle bellissima“. Tale frase non risulta adeguata alle disposizioni di settore, principalmente, perché:
- non dà delucidazioni rispetto a nessuno degli elementi essenziali della pubblicità sanitaria. Lo scopo primario della comunicazione sanitaria è quello informativo e, nel caso di specie, l’utente non è messo nelle condizioni di capire se stiamo parlando di un trattamento sanitario e tanto meno di quale;
- si limita all’aspetto estetico e ai suoi possibili effetti emotivi. Quando si reclamizza un trattamento sanitario, sebbene questo possa avere importanti effetti sull’estetica, non è possibile veicolare il messaggio che questa sia l’unica, se non principale, finalità della prestazione. I trattamenti sanitari hanno sempre riflessi sulla salute e, diversamente da altri servizi e prodotti, devono essere proposti ed eseguiti con tutte le cautele del caso. A ciò si aggiunga che non è detto che il risultato estetico sia raggiunto o che rispetti le aspettative del paziente. Pertanto, il messaggio potrebbe risultare attrattivo e suggestivo, ma anche ingannevole laddove, ad esempio, il paziente non si senta sollevato dopo essersi sottoposto al trattamento.
Altro elemento da evidenziare, pacificamente in contrasto con l’art. 1, c. 525, l. n. 145/2018 è la proposta di sconto del 10% sul un trattamento prescelto dalla struttura. Sul punto, non vi sono eccezioni da parte degli Enti competenti, AGCM e Ordini professionali, che in modo compatto contestano qualsiasi forma di offerta sul prezzo inserita in pubblicità.
Andiamo all’immagine. Anche gli elementi grafici possono rappresentare contenuti potenzialmente in violazione di quanto stabilito dal legislatore. In tal senso, raffigurazioni di persone troppo sorridenti o felici, come nel caso di specie, oppure sofferenti o spaventate sono state oggetto di critiche, poiché ritenuti contenuti capaci di suggestionare l’utenza e indurre, non verbalmente, false aspettative (come essere sereni o belli come la persona nel nostro volantino) o paure infondate (paura del mal di denti, paura dell’invecchiamento).
Occorre, poi, prestare attenzione a una frase apparentemente “innocua”, ovvero quella che descrive i trattamenti sanitari come accurati e completi. La frase indica due caratteristiche intrinseche di tutte le prestazioni sanitarie che non possono essere evidenziate come una specie di esclusiva o peculiarità di quell’esercente la professione sanitaria. Il rischio di una simile frase, quindi, è quello di produrre una comunicazione ingannevole dal momento che si descrive un vanto non effettivamente esistente.
Infine, una possibile criticità potrebbe essere riscontrata nell’espressione “Chiama subito“. In più occasioni, gli Ordini professionali hanno criticato le frasi con il verbo all’imperativo e/o avverbi, poiché potenzialmente capaci di coercire il consumatore e indurlo a affrettare le proprie decisioni, ad esempio proprio chiamando subito il poliambulatorio senza che ve ne fosse un bisogno così immediato.