Le professioni sanitarie sono molteplici e ognuna ha il proprio codice deontologico.
In questa sede, si prenderà a riferimento il codice di deontologia medica, applicabile ai medici chirurghi e agli odontoiatri, nonché alle strutture sanitarie presso cui essi esercitano soffermandoci sugli aspetti di “pubblicità sanitaria”.
Indice
Articolo 56: la pubblicità informativa sanitaria
L’articolo chiave del codice di deontologia medica relativo alla pubblicità sanitaria è l’art. 56 che esprime i principi alla base della regolamentazione deontologica i quali, come vedremo di seguito, non differiscono grandemente da quelli sottesi alla disciplina nazionale (già analizzati in questo articolo):
1. La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto esclusivamente i titoli professionali e le specializzazioni, l’attività professionale, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.
2. La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i principi propri della professione medica, dovendo sempre essere veritiera, corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria.
3. È consentita la pubblicità sanitaria comparativa delle prestazioni mediche e odontoiatriche solo in presenza di indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano confronto non ingannevole.
4.Il medico non diffonde notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo sanitario non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico, in particolare se tali da alimentare attese infondate e speranze illusorie.
1.1 La natura della pubblicità e i suoi contenuti
Dai primi due commi dell’art. 56 si evince che (i) i contenuti della pubblicità sono coincidenti con quelli previsti dal Decreto Bersani (ii) i principi dirimenti sono quelli di veridicità, trasparenza e correttezza della comunicazione e (iii) lo scopo della pubblicità è quello informativo a tutela della
libertà di scelta dell’utente tra i servizi professionali disponibili sul mercato (come ai sensi degli artt. 1, comma 525 L. 145/2018 e 2 del Decreto Bersani).
Con riferimento alla natura informativa della pubblicità, gli Enti competenti in ambito deontologico – ossia gli Ordini e la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie-CCEPS (cioè il tribunale speciale per le professioni sanitarie) – hanno consolidato nel tempo l’orientamento secondo il quale, perché una pubblicità sia considerata informativa, essa non deve presentare in prevalenza elementi di natura prettamente commerciale.
A titolo esemplificativo, la CCEPS ha ritenuto scorretto un messaggio pubblicitario che aveva posto particolare enfasi, a livello grafico e testuale, al prezzo della prestazione sanitaria.
Sebbene il costo sia un elemento lecito della pubblicità sanitaria la Commissione ha rilevato che
Laddove l’enfasi sia posta, tanto nella grafica come nella redazione del testo, sull’elemento del prezzo, il messaggio travalica il mero intento informativo, costituendo un indice inequivocabile della sua natura commerciale.” (Decisione n. 67 del 2 ottobre 2019).
L’art. 56 prevede, poi, che la comunicazione sanitaria deve essere funzionale all’oggetto dell’informazione.
Ma cosa significa?
Non c’è una definizione di tale concetto e gli Ordini non pare abbiano fornito indirizzi utili a specificare lo stesso.
Tuttavia, è possibile ricondurre la funzionalità all’oggetto dell’informazione alla diffusione di informazioni che siano tutelanti della salute individuale e collettiva. In altre parole, è come se se la garanzia della salute parta ben prima rispetto all’incontro con il medico e cominci nel momento in cui si danno informazioni di natura sanitaria.
Tale funzione di tutela della salute era recata anche all’art. 1, comma 525, della l. n. 145/2018, come analizzato nel precedente articolo, prima della novella apportata dal D.L. n. 69/2023 la quale ha dirottato – correttamente, ad avviso di chi scrive – l’azione della pubblicità a garanzia del diritto ad una corretta informazione sanitaria.
In considerazione della recente modifica normativa, non rimane che attendere le possibili evoluzioni dell’interpretazione degli Ordini su tale aspetto.
1.2 Pubblicità comparativa
La norma in commento consente l’esecuzione di pubblicità comparativa, quindi di fare pubblicità informativa nella quale si mettono a confronto i propri beni o servizi con quelli dei concorrenti.
La pubblicità comparativa può essere:
- diretta, quando i concorrenti sono riconoscibili;
- indiretta, quando si attribuiscono caratteristiche o pregi unici ai propri servizi o prodotti, attestando indirettamente che i concorrenti non siano assimilabili.
Perché la pubblicità comparativa sia deontologicamente corretta è necessario che vi siano indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano confronto non ingannevole.
In tal senso, è stata sanzionata dalla CCEPS una pubblicità comparativa che recava “Il Centro odontostomatologico […] è l’unico nel territorio […] ad effettuare in poche ore impianti dentali anche di complete arcate” dal momento che
risulta fuorviante in quanto enfatizza il merito del predetto centro dentistico a scapito di tutti gli altri operanti nello stesso ambito territoriale, senza che tale connotazione di merito sia avallata da dati scientifici ed oggettivi. Pure illecito è il riferimento ad una tempistica che solo il centro in questione potrebbe assicurare, così declassando in via indiretta le prestazioni offerte da altri centri odontostomatologici. (Decisione n. 4 del 30 gennaio 2019).
Non solo, sono quasi sempre contestate le pubblicità comparative dirette, e, quindi, sostanzialmente vietate, nonché tutte le comparazioni che abbiano anche solo vagamente profili denigratori; si pensi al caso in cui si pubblicizzi una tecnica medica come migliore di un’altra.
1.3 Il messaggio veritiero, trasparente e corretto
La tutela della libera e consapevole scelta del consumatore deve essere garantita, tra gli altri, dalla redazione di contenuti pubblicitari non ingannevoli, completi ed esatti, come stabilito dal comma 2 dell’art. 56 e dal successivo comma 4 che vietala diffusione di notizie scientifiche non validate.
Un messaggio pubblicitario conforme a tali principi dovrà contenere solamente informazioni verificabili e, dunque, sempre dimostrabili per il tramite di fonti certe come le pubblicazioni scientifiche o dati statistici.
Ad esempio, definire un trattamento come “consigliato” per una data patologia, è lecito se supportato dalla letteratura scientifica consolidata.
Anche il linguaggio pubblicitario è importante. Al fine di preservare la trasparenza e la correttezza della comunicazione occorre utilizzare termini scientifici, prestando attenzione a mantenere un tono accessibile all’utente non professionista.
Sul punto, si pensi all’uso della parola “sorriso”. La branca odontoiatrica non cura il sorriso, ma i denti, il cavo orale, la dentatura e così via. Pertanto, sono questa tipologia di termini da prediligere per costruire una comunicazione corretta e trasparente.
Oltre all’art. 56, applicabili alla pubblicità sanitaria sono gli artt. 54, 55 e 57 del codice che aggiungono corollari importati per la corretta redazione della pubblicità.
Articolo 54: Esercizio libero professionale. Onorari e tutela della responsabilità civile
L’articolo 54 è rilevante dal momento che tratta il tema della gratuità delle prestazioni sanitarie. In particolare, l’ultimo comma ammette la prestazione gratuita della propria opera, a patto che però tale comportamento non ingeneri un atto di concorrenza sleale o sia finalizzato all’accaparramento di clientela.
A livello pubblicitario ciò si traduce in un sostanziale divieto di pubblicizzazione di prestazioni gratuite, la quale è certamente individuabile come elemento non informativo e solo attrattivo, del momento che è idoneo ad accaparrare clientela non sulla base di informazioni sul servizio, ma solo per l’assenza di oneri economici.
Articolo 55: Informazione sanitaria
L’art. 55 disciplina più in generale l’informazione sanitaria prevedendo che:
1. Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.
Tale comma è una manifestazione del principio di veridicità, trasparenza e correttezza del messaggio di cui l’art. 56 è una specificazione.
2. Il medico, nel collaborare con le istituzioni pubbliche o con i soggetti privati nell’attività di informazione sanitaria e di educazione alla salute, evita la pubblicità diretta o indiretta della propria attività professionale o la promozione delle proprie prestazioni.
Il professionista sanitario, dunque, non può farsi forza di collaborazioni con enti terzi per pubblicizzare la propria opera. La pubblicità, infatti, deve sempre essere riconoscibile e non deve essere inserita in contesti che non abbiamo la medesima natura. Una forma di pubblicizzazione vietata ai sensi dell’art. 55, comma 2, potrebbe essere l’inserimento di pubblicità all’interno di un articolo scientifico o di un intervento a carattere divulgativo ad una manifestazione pubblica.
Articolo 57: divieto di patrocinio a fini commerciali
L’art. 57 stabilisce il divieto di patrocinio, ossia l’impossibilità di inserire nella pubblicità prodotti o servizi di qualsiasi natura al fine di consentirne la commercializzazione.
La comunicazione sanitaria, dunque, non può contenere marchi, servizi, immagini di prodotti o servizi altrui e ciò nemmeno in via indiretta.
Ad esempio, non è possibile che in un video pubblicitario possano apparire i marchi di macchinari o di dispositivi medici o non è possibile descrivere una tecnica per il tramite del dispositivo medico utilizzato. Sarà, quindi, necessario parlare di determinati trattamenti, come l’implantologia, descrivendo le tecniche e i trattamenti stessi senza fare riferimento, anche generico, ai prodotti utilizzati.
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Alla luce di quanto sino qui detto, la redazione dei messaggi di pubblicità sanitaria deve essere adeguata alle norme deontologiche, oltre che a quelle legislative.
I principi fondamentali della materia sono condivisi da entrambi i gruppi di disposizioni, tuttavia, l’analisi delle comunicazioni pubblicitarie deve prestare attenzione agli orientamenti degli Ordini professionali e della CCEPS, che si aggiungono a quanto eventualmente stabilito dalla AGCM.
Il rispetto alla regolamentazione deontologica, poi, non è da sottovalutare dal momento che una eventuale violazione può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari al professionista titolare del proprio studio medico o al direttore sanitario di una struttura sanitaria.
Al termine di un procedimento disciplinare – ossia quel procedimento che si svolge dinanzi all’Ordine professionale atto a valutare l’adesione ai dettemi deontologici di un dato comportamento – sono infatti previste 4 tipologie di sanzioni: l’avvertimento (che è un richiamo non formale) la censura (un richiamo formale) la sospensione dall’attività professionale per un determinato periodo e la radiazione.
La violazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria può comportare anche la sospensione, laddove particolarmente grave, impedendo così al professionista di lavorare anche per qualche mese.