Come abbiamo avuto modo già di dire: dai provvedimenti delle Autorità Pubbliche le aziende possono imparare le lezioni più preziose.
Qualche mese fa abbiamo segnalato alcune delle lezioni in tema di trattamento dati sui luoghi di lavoro che la Relazione Garante Privacy 2021 ci ha consentito di imparare, ora vediamo cosa possiamo imparare dai casi riportati nella Relazione 2022 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) i tema di vendite on line e servizi digitali.
Il Codice del Consumo, infatti, vieta le pratiche commerciali scorrette poste in essere da un professionista/ aziende ai danni di un consumatore. Tali pratiche possono essere commesse (con conseguente irrogazione di sanzioni) anche nell’ambito di un’attività di e-commerce e l’AGCM è l’organo incaricato dell’applicazione di tale disciplina.
Indice
Pratiche scorrette nelle vendite on line
Nel corso del 2021 l’AGCM ha sanzionato le modalità scorrette di promozione e vendita online di quattro importanti operatori della grande distribuzione organizzata, che sono stati sanzionati, ad esito di tre procedimenti istruttori (Unieuro S.p.A. e Monclick S.r.l. – PS11770, Mediamarket S.p.A. -PS11839 e Leroy Merlin Italia S.r.l. – PS11815).
Le istruttorie hanno consentito di accertare che le quattro società, nell’ambito dell’attività di e-commerce dei rispettivi prodotti svolta tramite i propri siti web aziendali, hanno adottato condotte tutte riconducibili a due pratiche commerciali scorrette (ingannevoli e aggressive), in quanto suscettibili di ingannare i consumatori e condizionarli indebitamente nell’acquisto o nell’esercizio dei loro diritti contrattuali.
La prima pratica commerciale riguardava le criticità relative al momento dell’offerta di prodotti sul sito internet e, in particolare: la diffusione di informazioni inesatte e ingannevoli sull’effettiva disponibilità dei prodotti venduti online e sui relativi prezzi e tempi di consegna; le modalità scorrette di gestione del processo di acquisto, attraverso l’immediato addebito di pagamento/blocco del plafond e il successivo annullamento unilaterale degli ordini di numerosi consumatori (violazione art. 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo).
La seconda pratica commerciale scorretta riguardava le modalità illecite di gestione della fase successiva all’acquisto online (violazione art. 20, 22, 24 e 25 Codice del Consumo).
In particolare, le attività qualificate come illecite sono state: la ritardata o la mancata consegna dei prodotti acquistati e regolarmente pagati dai consumatori; le informazioni ingannevoli sullo stato delle spedizioni; i ritardi e gli ostacoli in relazione all’esercizio dei diritti di recesso e/o rimborso dei consumatori; l’omessa/inadeguata assistenza post- vendita, anche attraverso la sospensione delle attività di customer care durante il periodo pandemico.
Le violazioni nelle fasi successive all’acquisto on line restano quelle più frequenti riscontrate dall’AGCM (rif. Gamestop – PS11912 e Studslab Di Mirko Murru – PS11872).
Marketplace e scorrettezza dei termini contrattuali
L’Autorità ha poi affrontato un interessante caso di un marketplace (StockX LLC -PS11951) in cui oltre alla presenza di pratiche commerciali scorrette sono state rilevate illiceità nei termini contrattuali e nelle informazioni fornite nel processo di vendita.
Più precisamente, le fattispecie oggetto di contestazione riguardavano l’omessa individuazione – nel corso del processo di vendita online – dell’identità del venditore e la mancata indicazione nel prezzo di vendita, sin dall’inizio del processo, dell’ammontare delle commissioni di elaborazione della transazione richieste agli acquirenti, nonché l’assenza dell’informativa precontrattuale in ordine alla garanzia legale di conformità e al diritto di recesso e di rimborso.
Gli impegni presentati dall’azienda, a seguito della contestazione dell’AGCM sono stati ritenuti idonei a superare i profili di presunta illiceità oggetto di istruttoria. In sintesi: la piattaforma StockX,che basa il proprio business model sull’anonimato dei venditori (rappresentati sia da professionisti che da singoli privati), si porrà come controparte contrattuale diretta nelle transazioni online, facendosi carico, anche nelle compravendite tra privati (C2C), delle garanzie legislativamente previste e normalmente fornite dai venditori nella fase post-vendita, specificamente avuto riguardo al diritto di ripensamento e al successivo diritto di recesso e di rimborso, nonché alla prestazione della garanzia legale di conformità.
La Società si è pertanto impegnata a dare adeguata evidenza a tale misura in favore di tutti i consumatori che utilizzano la piattaforma, anche attraverso la modifica degli attuali termini e condizioni di contratto, nonché a consolidare in un’unica pagina tutti i riferimenti alle informazioni relative al calcolo delle commissioni di elaborazione e delle spese di spedizione.
Servizi digitali
L’AGCM ha condotto tre procedimenti concernenti profili di vessatorietà di alcune clausole presenti nei moduli contrattuali predisposti per l’utilizzo del servizio di cloud da parte di alcuni Big del settore (Google Ireland Ltd., Dropbox International Unlimited Company e Apple Distribution International).
Gli elementi di vessatorietà ravvisati dall’Autorità hanno riguardato, essenzialmente, tre profili di vessatorietà.
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- L’esclusione di responsabilità del fornitore del servizio per danni derivanti da una fornitura inadeguata dei servizi (anche qualora tali danni siano attribuibili al fornitore stesso), la limitazione di responsabilità rispetto a perdite e danni prevedibili dovuti a una mancata applicazione di normale diligenza e perizia e, infine, la violazione di clausole vessatorie inserite nel contratto concluso con l’utente.
- La sospensione o interruzione unilaterale dei servizi in assenza di una puntuale indicazione di come e quando l’utente verrà informato di ciò e della impossibilità conseguente di opporsi alla decisione del fornitore, nonché l’assenza di un obbligo di specificare i motivi e le tempistiche per l’esportazione dei dati.
- La modifica unilaterale di termini e condizioni contrattuali senza che sussistano i giustificati motivi richiesti dal contratto e senza che ne fosse data adeguata e precisa comunicazione all’utilizzatore.
In un caso è stata considerato vessatorio anche l’obbligo imposto ai consumatori italiani di aderire a condizioni contrattuali redatte in lingua inglese e di accettarle come uniche applicabili in caso di controversie, anche in caso fossero più sfavorevoli.
Un ulteriore e simile intervento dell’Autorità si è avuto rispetto a condizioni di servizio di una famosa piattaforma social, dove, anche in questo caso, è stata ravvisata vessatorietà per alcune clausole determinanti un significativo squilibrio di diritti e obblighi contrattuali a carico dei consumatori. Le clausole in questione erano, inoltre, formulate secondo modalità piuttosto ambigue, considerata anche la giovane età degli utenti della piattaforma e, a seguito dell’intervento dell’AGCM, ne è già stata presentata una nuova versione. Esse, in particolare, riguardavano, inter alia, modifiche unilaterali delle condizioni e dei servizi, la risoluzione contrattuale e le rinunce degli utenti ai diritti sui contenuti pubblicati sulla piattaforma stessa.
Dati dei consumatori per finalità commerciali
L’Autorità ha sanzionato la violazioni del Codice del Consumo connesse all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali (Google Ireland Limited – PS11147 e Apple Distribution International Limited -PS11150).
Le aziende non avevano fornito informazioni chiare e immediate sull’acquisizione e sull’uso dei dati degli utenti a fini commerciali, in violazione degli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo.
Tali condotte sono state analizzate alla luce della specifica attività svolta dalle due società. Per entrambe, infatti la la raccolta dei dati risulta elemento di grande rilievo per l’erogazione e vendita dei relativi servizi.
Da una parte, Google fonda la propria attività economica sull’offerta di un’ampia gamma di prodotti e di servizi connessi a internet basata in larga misura sulla profilazione degli utenti ed effettuata grazie ai loro dati, dall’altra Apple raccoglie, profila e utilizza a fini commerciali i dati degli utenti attraverso l’uso dei suoi dispositivi e dei suoi servizi, sfruttandone il valore economico attraverso un’attività promozionale per la vendita dei propri prodotti e/o di quelli di terzi tramite le proprie piattaforme commerciali.
È stata, inoltre, dimostrata per entrambe le società anche la violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo a causa della pre-attivazione (o pre-flag) del consenso all’utilizzo dei dati degli utenti a fini commerciali, con conseguente pregiudizio delle scelte economiche del consumatore.
Assenza di informazioni al consumatore e pre-attivazione del consenso restano attività estremamente delicate nella raccolta dati, non solo per il rischio sul trattamento dei dati, ma anche per i diritti previsti dal Codice del Consumo.