Ancora grande incertezza sul campo di applicazione del Decreto trasparenza.
Come abbiamo già avuto modo di segnalare, il Decreto prevede l’introduzione di obblighi di informazione (tra le altre cose) per il lavoratore in caso di utilizzo da parte del datore di lavoro di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (art. 1-bis D.Lgs. n. 152/1997).
Ma quali sistemi rientrino dell’art. 1-bis era – ed è – tutt’altro che chiaro, tanto che lo stesso Ispettorato Nazionale del Lavoro, nella circolare di agosto, aveva rinviato ad un intervento interpretativo ad hoc.
Il 20 settembre il Ministero del Lavoro ha pubblicato una Circolare sul tema, che avrebbe dovuto chiarire l’ambito di applicazione della norma.
Qualche punto fermo è stato messo, ma restano molti angoli bui. Tuttavia proviamo a fare qualche passo avanti e a dare anche qualche indicazione su come procedere nelle aziende.
Indice
Fase 1 – Ci sono in azienda strumenti decisionali o di monitoraggio automatizzati?
Il Ministero ha, infatti, chiarito che per sistema decisionali o di monitoraggio automatizzati si intendono quegli strumenti che attraverso l’attività di raccolta dati ed elaborazione degli stessi siano in grado di generare decisioni automatizzate. Rientrano nei sistemi dell’articolo 1-bis anche gli strumenti dove l’intervento umano è meramente accessorio.
La categoria, secondo l’interpretazione del Ministero, quindi, è più ampia dei sistemi di cui all’articolo 22 del Regolamento 2016/679, che fa riferimento a un processo decisionale esclusivamente automatizzato, senza intervento umano.
Ma sono esclusi i sistemi automatici di rilevazione delle presenze, se non consegue un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.
Fase 2 – Quali finalità perseguono gli strumenti individuati?
Individuata la presenza di tali strumenti, occorre verificare se essi rientrino nella casistica dell’art. 1-bis.
In merito alle tipologie di Sistemi, il Ministero distingue le due seguenti ipotesi.
- Gli strumenti che incidono sul rapporto di lavoro.
Per il ministero, rientrano certamente nell’articolo 1-bis, le seguenti ipotesi:
- assunzione o conferimento dell’incarico tramite l’utilizzo di chatbots durante il colloquio, la profilazione automatizzata dei candidati, lo screening dei curricula, l’utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali, ecc.;
- gestione o cessazione del rapporto di lavoro con assegnazione o revoca automatizzata di compiti, mansioni o turni, definizione dell’orario di lavoro, analisi di produttività, determinazione della retribuzione, promozioni, etc., attraverso analisi statistiche, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning, ecc.
Sono esclusi, invece i sistemi decisionali automatizzati deputati alla rilevazione delle presenze in ingresso e in uscita a cui non consegua un’attività interamente automatizzata finalizzata ad una decisione datoriale.
2. Gli strumenti che riguardano incidenti sulla sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimenti delle obbligazioni contrattuali.
Su questo punto, il Ministero elenca una serie di dispositivi molto comuni nelle aziende, ad esempio: table, wearable, gps e geolocalizzatori, dispositivi digitali, e tutti gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa.
Un elenco davvero ampio che si ritiene vada poi ulteriormente circoscritto ai soli strumenti che “incidono sul controllo, la valutazione e l’adempimento delle obbligazioni ei lavoratori”. Interpretato sotto questa ratio, la norma si applicherebbe, in effetti, ai soli casi effettivamente invasivi per i dipendenti, che però contrasterebbero anche con quanto previsto già dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
In altre parole, delle indicazioni più chiare e, soprattutto, più calate all’operatività aziendale sarebbero ancora auspicabili. Infatti, in questa casistica potrebbero potenzialmente rientrare anche strumenti che sono oggi indispensabili per il datore di lavoro e la cybersecurity ma sui quali certamente non si può in assoluto escludere un controllo del lavoratore.
Considerazioni conclusive
Le sanzioni previste dal Decreto sono considerevoli.
Quindi, capire e decidere se gli strumenti di un’azienda rientrino nell’articolo 1-bis oppure no, non è un mero esercizio di stile, ma porta delle conseguenze anche economiche che non possono essere sottovalutate. Nello stesso tempo, l’applicazione del Decreto trasparenza comporta dei costi, sicuramente più ragionevoli del rischio, ma in questi tempi complessi vale la pena di fare dei ragionamenti a largo raggio.
Ne consegue che questa norma, nonostante gli sforzi interpretativi del Ministero, resta ancora troppo astratta e teorica per consentire alle aziende di decidere cosa fare con serenità. Forse una nuova circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro potrebbe dare indicazioni pratici su come procedere.