Sulla scia delle considerazioni e delle riflessioni svolte nel precedente articolo “Unicità non è distintività: un po’ di chiarezza sul carattere distintivo dei marchi” sul requisito del carattere distintivo che deve possedere un segno per poter validamente essere registrato come marchio, ci soffermiamo su una recente vicenda giudiziaria conclusasi con la dichiarazione di nullità di un marchio italiano proprio perché privo di carattere distintivo.
Il caso riguarda la validità di un marchio italiano costituito da una lettera dell’alfabeto e il possesso della capacità distintiva.
Ebbene, in proposito, bisogna ricordare che l’art. 7 C.p.i. stabilisce che tra i vari segni che possono essere validamente registrati come marchi rientrano anche le lettere dell’alfabeto.
Come visto, tuttavia, un marchio per poter essere registrato deve essere lecito, nuovo e dotato di carattere distintivo.
Ma le lettere dell’alfabeto sono dotate di carattere distintivo?
Il Tribunale di Torino, con laTribunale di Torino, sentenza n. 5027/2023, ha stabilito che il marchio italiano n. 362022000028934 della società Kappa S.r.l. costituito dalla sola lettera K (denominativo) è nullo in quanto privo di quel minimo di capacità distintiva e tale da non essere in grado di creare un collegamento con i prodotti contraddistinti.
Ma vediamo nel dettaglio come il Tribunale di Torino è giunto a detta conclusione.
Indice
La vicenda processuale
La vicenda risale al 2020 quando le società torinesi Kappa S.r.l. e Basic Italia S.p.A. avevano promosso una causa contro la maison del lusso milanese Dolce & Gabbana S.r.l., accusandola di aver lanciato il profumo K-Dolce&Gabbana, commercializzato dalla società torinese Gst Profumi S.p.A., di seguito riprodotto sulla sua confezione:
Fig. 1: Immagine del flacone di profumo, origine della querelle giudiziale
Kappa S.r.l. e Basic Italia S.p.A. chiedevano, in particolare, al Tribunale torinese di dichiarare illecito l’uso del logo K da parte della multinazionale milanese per contraffazione dei propri marchi K e KAPPA e per concorrenza sleale, di vietare la commercializzazione del profumo “K” e di condannare quest’ultima al risarcimento dei danni.
È nato un acceso e duro braccio di ferro in cui la maison Dolce & Gabbana ha chiesto, in via riconvenzionale, la dichiarazione di nullità del marchio italiano denominativo “K” n. 362022000028934 di Kappa S.r.l. per difetto di capacità distintiva, ex art. 7, lett. A, e art. 13 C.p.i., ovvero la dichiarazione di decadenza di detto marchio per perdita della capacità distintiva, ex art. 13, comma 4, C.p.i..
In sostanza, la convenuta Dolce & Gabbana ha sostenuto che il menzionato marchio italiano denominativo “K” presenterebbe profili di nullità, essendo privo di capacità distintiva stante l’inidoneità della lettera “K”, priva di qualsiasi caratterizzazione grafica, a distinguere, nella percezione del pubblico di riferimento, i prodotti dell’attrice rispetto a quelli offerti da altre imprese. Inoltre, secondo la maison Dolce & Gabbana, il richiamato marchio italiano denominativo “K” sarebbe altresì privo di capacità distintiva acquisita (ex art. 13, comma 3, C.p.i.), stante l’inidoneità delle produzioni attoree a dimostrare l’acquisizione del secondary meaning (né tanto meno a dimostrare la notorietà/rinomanza del marchio).
Oltre a ciò, la maison milanese ha chiesto il rigetto delle domande formulate dalle attrici sostenendo che il proprio logo presentasse una profonda differenza con il marchio “K” di Kappa S.r.l. da un punto di vista visivo, fonetico e concettuale con conseguente assenza di qualsivoglia rischio di confusione per i consumatori e/o di associazione tra i marchi.
Sul carattere distintivo del marchio
Se, in passato, la registrazione di una singola lettera dell’alfabeto come marchio d’impresa è stata messa in dubbio da alcune posizioni interpretative, oggi la sua validità non può più essere contestata posto che l’art. 7 C.p.i. include espressamente “le lettere” tra i segni suscettibili di registrazione, purché idonei a svolgere una funzione distintiva dei prodotti o servizi di un’impresa.
La validità di un marchio costituito da una lettera dell’alfabeto deve essere affermata (o negata) non in ragione dell’appartenenza di dette lettere ai segni del linguaggio, ma in ragione della capacità distintiva del segno al di fuori della destinazione convenzionale: in altre parole, affinché un marchio costituito da lettere dell’alfabeto sia valido, occorre valutare se esso sia o meno in grado di «creare un collegamento con i prodotti dell’impresa che ha fatto uso di quella determinata lettera, e l’ha registrata come marchio, proprio in funzione distintiva dei prodotti, e non come tramite di comunicazione secondo la destinazione naturale e tipica dei segni alfabetici e delle parole» (cfr. Cass. n. 14684/2007).
Sulla scia di questo principio, la giurisprudenza di merito ha tendenzialmente negato la validità dei marchi costituiti da lettere dell’alfabeto se privi di elementi grafici o di fantasia o comunque di elementi individualizzanti tali da attribuire alla lettera un sufficiente grado di capacità identificativa dei prodotti o dei servizi di un’impresa.
Questa è stata la direzione seguita dal Tribunale di Bologna (sent. n. 3567/2015) che ha ritenuto privi di capacità distintiva una serie di marchi “Gucci” costituiti dalla sola lettera “G” «in varianti grafiche comuni e banali e quindi privi di una sufficiente caratterizzazione» (pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Bologna con la sentenza n. 1793/2018).
Può poi accadere che un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintiva, acquisti in seguito tali capacità, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato. In questo caso, l’ordinamento si trova a recepire la circostanza dell’acquisizione successiva di una “distintività” attraverso un meccanismo di “convalidazione” del segno (c.d. secondary meaning). Tale possibilità è espressamente prevista dall’art. 13, comma 3, C.p.i. che prevede che «il marchio non può essere dichiarato o considerato nullo se prima dalla proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità, il segno che ne forma oggetto, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato carattere distintivo».
La decisione del Tribunale di Torino
Il Tribunale di Torino, con la decisione in oggetto, si è espresso in favore delle società convenute e, accogliendo la domanda riconvenzionale formulata da queste ultime, ha dichiarato la nullità del marchio denominativo di Kappa S.r.l. avente a oggetto la lettera “K” (n. 362022000028934 per la classe 25), rilevando come esso sia «privo di quel minimo di capacità distintiva necessario per la sua validità, non essendo in grado di creare un collegamento con i prodotti» di Kappa.
Nell’assumere la propria decisione, i giudici di Torino hanno escluso che il segno in questione abbia acquistato distintività grazie all’uso, non avendo la Kappa provato di aver «utilizzato, in maniera stabile e costante, il segno K, in modo da penetrare nella comune conoscenza dei consumatori quale indicatore dell’origine commerciale dei prodotti» di Kappa stessa.
Il Tribunale di Torino ha inoltre rigettato la domanda di contraffazione dei marchi KAPPA statuendo che – a seguito di un’analisi visiva, fonetica e concettuale – il marchio utilizzato da Dolce & Gabbana e da Gst Profumi si differenzia sensibilmente dai marchi contenenti la parola “KAPPA” di titolarità delle attrici. Secondo il Tribunale di Torino, «nonostante l’identità dei prodotti (profumeria e abbigliamento) e nonostante la rinomanza/notorietà dei marchi attorei “KAPPA”, è improbabile che il pubblico di riferimento (costituito da consumatori finali, dotato di un grado medio di attenzione e selettività) operi un collegamento mentale tra i segni in conflitto, associando i prodotti contrassegnati dal segno alle società attrici».
Conclusioni
La querelle che ha visto scontrarsi due colossi dell’imprenditoria italiana e la decisione a cui è giunta l’autorità giudiziaria mettono in evidenza quanto sia importante per un’impresa la scelta del marchio da adottare.