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Premessa
Come sappiamo, il marchio è il segno distintivo che identifica i prodotti e i servizi di un’impresa consentendo ai consumatori di distinguerli da quelli provenienti da imprese concorrenti.
Affinché un marchio sia valido occorre che:
a) sia nuovo: il marchio non deve essere identico o simile ad altri marchi o segni distintivi già depositati e/o registrati da soggetti terzi;
b) distintivo: il marchio non deve consistere esclusivamente in un segno che descrive le caratteristiche dei prodotti e servizi contraddistinti o divenuto comune nel linguaggio corrente;
c) lecito: il marchio non deve essere contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Ma quando un marchio è contrario all’ordine pubblico o al buon costume?
Di recente il Tribunale dell’Unione Europea è tornato a chiarire i concetti di ordine pubblico e buon costume.
L’ordine pubblico e il buon costume
L’ordine pubblico è costituito dall’insieme dei principi fondamentali dell’ordinamento, mentre il buon costume può definirsi come l’insieme di principi e regole espressione del costume sociale.
Si tratta di concetti che, per loro natura, non sono statici, ma si evolvono nel tempo: ciò che oggi potrebbe essere contrario al buon costume o all’ordine pubblico potrebbe non esserlo tra 50 anni in un contesto storico-sociale nel frattempo (inevitabilmente) mutato.
Sono illeciti perché contrari all’ordine pubblico, quei marchi contrari ai principi e ai valori fondamentali e fondanti dell’Unione Europea: ad esempio, i marchi contrari alla dignità umana, all’uguaglianza o alla solidarietà.
Sono invece illeciti perché contrari al buon costume, i marchi costituiti da espressioni blasfeme, offensive o razziste.
Non necessariamente i segni percepiti come contrari all’ordine pubblico o al buon costume sono gli stessi in tutti gli Stati membri: esistono ragioni storiche, linguistiche, sociali e culturali che inevitabilmente impattano sulla percezione dei consumatori nei diversi Stati membri.
La nullità del marchio dell’Unione Europea “PABLO ESCOBAR”
Il 30 settembre 2021 la società portoricana Escobar Inc. ha chiesto la registrazione del nome “PABLO ESCOBAR” come marchio dell’Unione Europea per svariati prodotti e servizi appartenenti a varie classi merceologiche.
L’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO) – competente per la registrazione dei marchi dell’Unione Europea – ha rigettato integralmente il marchio (lo ha quindi rigettato per tutti i prodotti e servizi richiesti) ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera f) del Regolamento sul Marchio dell’Unione Europea [Reg. (UE) del 14 giugno 2017 n. 1001] secondo cui sono esclusi dalla registrazione, appunto, i marchi contrari all’ordine pubblico e al buon costume.
La decisione è stata confermata sia dalla Commissione di ricorso dell’EUIPO sia dal Tribunale dell’Unione Europea innanzi ai quali era stata impugnata dalla Escobar Inc.
Ebbene, il Tribunale ribadito alcuni punti fondamentali nella valutazione della liceità di un marchio dell’Unione Europea.
Innanzitutto, la valutazione circa la contrarietà di un marchio all’ordine pubblico e al buon costume deve essere trasversale e non limitata solo ai consumatori destinatari diretti dei prodotti e servizi: esiste, infatti la possibilità che anche altri consumatori, sebbene non direttamente interessati dai beni contraddistinti dal marchio, possano imbattersi nel medesimo.
Occorre altresì considerare l’esistenza di eventuali circostanze particolari che possono influenzare la percezione dei consumatori di singoli Stati membri.
In applicazione di tali principi, l’EUIPO e il Tribunale UE hanno concluso che parte del pubblico dell’Unione Europea (in particolare i consumatori spagnoli) avrebbe associato il marchio “PABLO ESCOBAR” al narcotrafficante sudamericano ed ai reati direttamente attribuiti allo stesso in contraddizione, da un lato, con quei valori universali propri dell’Unione Europea, quali la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà, e dall’altro, con quei principi delle moderne democrazie e dello stato di diritto.
In ragione di ciò, il marchio “PABLO ESCOBAR” può verosimilmente essere percepito come offensivo ed interpretato come una sorta di apologia dei crimini riconducibili al c.d. cartello della droga di Medellin, di cui Pablo Escobar è stato leader.
A tal fine, la circostanza fortemente enfatizzata dalla Escobar Inc. secondo cui Pablo Escobar non fosse mai stato condannato e godesse della presunzione di innocenza (diritto fondamentale e principio di diritto riconosciuto dall’Unione Europea e dei suoi Stati membri) non fa venir meno il fatto che egli, grazie anche alla letteratura ed ai film a lui dedicati, sia comunque percepito da una parte non trascurabile del pubblico quale signore della droga, capo di un’organizzazione criminale responsabile di numerosi crimini.
Il Tribunale UE, con la recentissima sentenza del 27 aprile 2024, ha quindi rigettato il ricorso presentato dalla Pablo Escobar Inc. e confermato la decisione dell’EUIPO che aveva rifiutato la concessione del marchio “PABLO ESCOBAR” per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume.
La decisione non sorprende affatto ed è pienamente in linea con la decisione del 15 marzo 2018 che ha portato il Tribunale UE a confermare la decisione della Commissione di Ricorso dell’EUIPO che aveva rigettato il marchio “LA MAFIA SE SIENTA A LA MESA” (in italiano: “la mafia si siede a tavola”) proprio perché il segno “mafia”, nella percezione dei consumatori italiani, evoca palesemente il nome di un’organizzazione criminale, responsabile di reati e attacchi particolarmente gravi all’ordine pubblico (decisione emessa nella causa T-1/17).
Conclusioni
Il caso riportato conferma quanto la scelta del marchio da adottare costituisca un momento importante e delicato per le imprese in cui occorre bilanciare scelte di marketing – che spingono spesso a scegliere nomi accattivanti, evocativi anche di personaggi o contesti storico-sociali controversi, certamente in grado di intercettare la curiosità e il dibattito dei consumatori – con valutazioni di diritto per evitare il rischio che il marchio possa essere percepito negativamente dai consumatori ed essere rifiutato perché contrario all’ordine pubblico o al buon costume.