I “nomi a dominio” sono per le aziende un fondamentale elemento di competitività e di business. Scegliere il nome a dominio è già di per sé non sempre semplice, ma la delusione quando quel nome a dominio faticosamente scelto non è più disponibile, non perché registrato da chi legittimamente lo utilizza, ma da soggetti che lo fanno per la mera volontà di creare danno. È il fenomeno del così detto “cybersquatting” che oggi trova nuove forme per creare danno per esempio registrando un dominio contenente il nome di un marchio famoso all’interno.
Andiamo con ordine, il cybersquatting consiste nella registrazione e nell’utilizzo, in malafede, del marchio di qualcun altro (o di qualsiasi altro segno che sia diventato un identificatore distintivo per i consumatori nel marketplace) in un nome a dominio, senza averne alcun diritto o interesse legittimo.
Identificandosi con il marchio affermato, o imitandolo in qualsiasi modo, il dominio squatting è in grado di attirare traffico web che può essere monetizzato in diversi modi e diventare anche un atto di concorrenza sleale.
Nel mese di maggio di quest’anno, consapevole dell’importanza concorrenziale del fenomeno l’Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale presso l’EUIPO ha pubblicato un interessante studio denominato “Focus on cybersquatting: monitoring and analysis”. In particolare lo studio con lo scopo di quantificare il fenomeno del cybersquatting e di descrivere i metodi e i modelli di business impiegati dai cybersquatter, fornendo una base per combattere più efficacemente il fenomeno.
L’analisi è stata effettuata nel primo trimestre del 2020.
L’analisi quantitativa si è concentrata su una selezione di 20 marchi protetti di proprietà di entità piccole, medie e grandi in diverse categorie di beni e servizi. Lo studio ha identificato usi sospetti dei marchi selezionati in nomi di dominio registrati e ha analizzato le tecniche utilizzate da cybersquatter per sfruttare i marchi di titolarità altrui.
Nella prima fase, è stata condotta una ricerca nell’universo dei nomi di dominio registrati per identificare quelli associati ai marchi selezionati. Un aspetto evidenziato dallo Studio è che i cybersquatter non sempre registrano nomi di dominio contenenti il marchio completo, ma piuttosto una variante volutamente confusa, ad esempio un leggero errore di ortografia o sostituzione di una lettera con una cifra. Pertanto, sono state condotte anche ricerche su permutazioni dei nomi dei marchi. Infine, sono state aggiunte ricerche di parole chiave specifiche al nome del marchio per trovare i nomi a dominio più accurati relativi a ciascun marchio.
Nella fase finale dello studio è stato condotta un’analisi qualitativa su 40 domini “sospetti” relativi ai 20 marchi coperti dalla prima analisi quantitativa.
Lo studio ha analizzato i modelli di business utilizzati da quei domini per generare entrate inducendo i visitatori ad effettuare un acquisto.
Poco meno della metà dei nomi a dominio analizzati, ossia 49%, sono stati considerati “sospetti”.
La maggior parte (55%) si è rivelata non utilizzata attivamente. Il 10% dei domini era in vendita, mentre il resto era utilizzato per una varietà di attività, di cui le più preoccupanti erano la vendita su siti web per contraffazioni o siti web coinvolti in truffe, phishing o distribuzione di malware.
Analizzando i domini sospetti per tipo di nome ha rilevato che il tipo più comune di cybersquatting erano “regolari espressioni”, ossia un dominio contenente il marchio al suo interno.
Il fenomeno, per niente in diminuzione, è un problema particolarmente serio per le piccole e medie imprese (PMI), che spesso non dispongono delle risorse per monitorare attivamente la loro presenza sul web per rilevare cybersquatting e per proteggere la reputazione dei loro marchi.
Ecco qualche consiglio per tutelarsi dal cybersquatting:
– registrare i propri marchi presso l’Ufficio Brevetti e Marchi;
– verificare la scadenza dei propri domini e rinnovarli, onde non consentire l’acquisto da parte di terzi;
– individuare internamente un responsabile che si occupi della registrazione dei domini e mantenga aggiornati gli asset online dell’azienda e verificare le date di scadenza. A lui dovranno rivolgersi gli altri dipendenti per avvisarlo ogniqualvolta desiderino effettuare la registrazione di un nuovo dominio;
– se ci si avvale di un servizio esterno per la creazione di un sito o per l’assistenza, è importante che la registrazione del dominio non venga mai delegata a tale servizio.
E cosa fare in caso di dispute sui domini “.it”, è necessario procedere avvisando l’anagrafe dei domini .it Registro.it (il NIC italiano) e procedere quindi alla lite con la controparte.
Due sono le vie percorribili:
– arbitrato: si affida ad un collegio di arbitri esperti in materia di domini “.it” la risoluzione dell’opposizione;
– procedura di riassegnazione: viene condotta da appositi studi professionali chiamati “Prestatori del Servizio di Risoluzione delle Dispute” (PSRD), che verificano che il dominio non sia stato registrato in malafede. Tale procedura non impedisce il ricorso alla magistratura ordinaria. I PSRD devono rispondere a criteri di equità e trasparenza fissati da Registro.it
Nel caso di dispute su domini non “.it”, si va incontro a casistiche diverse a seconda del dominio di primo livello. Molte nazioni ad oggi condividono un set di regole basato su quelle indicate dal World Intellectual Property Organization (WIPO), chiamato Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (UDRP).
L’UDRP, nato su iniziativa dell’Arbitration e Mediation Center del WIPO, si occupa delle controversie riguardanti i domini .biz, .com, .info, .mobi, .name, .net e .org, con lo scopo di evitare il ricorso a tribunali. I registrar delle varie nazioni sono responsabili della gestione del processo di risoluzione della disputa presso UDRP.
Recentemente la WIPO ha annunciato che il Centro di arbitrato e mediazione ha raggiunto i 50.000 casi esaminati in materia di “cybersquatting”.
I nomi di dominio Internet che sono stati oggetto dei servizi della WIPO coprono un’ampia gamma dei marchi oggetto del commercio online, inclusi molti marchi ben noti. Esempi di nomi di dominio contestati includono: <hmrc-uk.com>, <godrejcareer.com>, <givebackgeico.com>, <tencentweibo.com>, <cvsheath.com>, <plfizer.com>, <facebookloginhelp.net> , <freddofrog.com>, <paypalogin.com>, <ladygaga.mobi> e <liomessi.com>.
CLICCA QUI PER VISUALIZZARE L’ALLEGATO: “FOCUS ON CYBERSQUATTING”