Cosa potrebbe succedere se una associazione rappresentativa dei consumatori sul territorio nazionale si dovesse rivolgere all’ AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) per denunciare pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli poste in essere da uno dei colossi social (Facebook) a danno dei propri utenti e consistenti in uno sfruttamento illecito dei loro dati personali a partire da un’informativa priva di immediatezza, chiarezza e completezza?
Tutto è cominciato nell’aprile 2018 con l’avvio dell’ istruttoria da parte di AGCM nei confronti di Facebook Inc. e Facebook Ltd. su richiesta di Altroconsumo.
Nel dettaglio, quello che si contestava era:
A seguito dell’esame della documentazione (prodotta dallo stesso colosso) ed in sede di audizione, FB confermava che il proprio business model si fondava sulla raccolta e sfruttamento dei dati degli utenti a fini remunerativi configurandosi, tali dati come contro-prestazione del servizio offerto dal social network, in quanto dotati di valore commerciale.
In particolare, i ricavi provenienti dalla pubblicità on line, basata sulla profilazione degli utenti a partire dai loro dati, costituiscono l’intero fatturato di Facebook Ireland Ltd. e il 98% del fatturato di Facebook Inc.
Il procedimento si concludeva il 29 novembre 2018 così come segue:
Questa delibera veniva impugnata da Facebook avanti al TAR Lazio Roma con contestuale richiesta di annullamento previa sospensione della stessa.
Lo scorso mese di gennaio il TAR Lazio Roma, Sez. I, emetteva la sentenza n. 260/2020, confermando in parte la sanzione emessa da AGCM e stabilendo che:
Alla luce degli avvenimenti (e della sanzione inflitta) appare opportuno riflettere su come il fenomeno della patrimonializzazione del dato personale, tipico delle nuove economie dei mercati digitali, imponga agli operatori di rispettare, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore, che deve essere reso edotto dello scambio di prestazioni che è sotteso alla adesione ad un contratto per la fruizione di un servizio, quale è quello di utilizzo di un social network.
La pronuncia del Tar Lazio è inoltre interessante perché afferma che, nonostante il potere sanzionatorio per illecito o non conforme trattamento dati ricada verso il Garante Privacy, cionondimeno l’AGCM conserva un potere sanzionatorio posto a tutela dell’interesse economico degli interessati in quanto consumatori.
Nel caso di specie, non sussiste alcuna incompatibilità o antinomia tra le previsioni del “Regolamento privacy” e quelle in materia di protezione del consumatore, in quanto le stesse si pongono in termini di complementarietà, imponendo, in relazione ai rispettivi fini di tutela, obblighi informativi specifici, in un caso funzionali alla protezione del dato personale, inteso quale diritto fondamentale della personalità, e nell’altro alla corretta informazione da fornire al consumatore al fine di fargli assumere una scelta economica consapevole.
Ad ogni modo preme ribadire l’importanza dell’oggetto di indagine da parte delle competenti autorità che riguarda:
● nel primo caso la chiarezza e completezza dell’informativa circa lo sfruttamento del dato ai fini commerciali;
● nel secondo caso il corretto trattamento del dato personale ai fini dell’utilizzo della piattaforma.
Quanto accaduto, infatti, deve fare riflettere su come stia progressivamente diventando più centrale nello sviluppo aziendale basarsi su una economia sicura non solo dal punto di vista delle transazioni commerciali ma che non sia assolutamente possibile prescindere dal corretto trattamento dei dati personali degli utenti che devono essere protetti ed adeguatamente informati dell’utilizzo che la società farà dei propri dati.
Garantire e valorizzare i diritti degli utenti (evitando di preselezionare le caselle di prestazione del consenso), evitare di basarsi su complicati meccanismi di deselezione di consensi e fornire informative chiare ed immediate è sicuramente un primo passo verso l’effettiva attuazione del principio di accountability che, se applicato in un caso come quello sopra esposto, avrebbe evitato a FB di incorrere in una sanzione pari ad € 5.000.000.