Può un nome a dominio riportare un marchio registrato da altri?
La risposta è no e la domanda è apparentemente semplice anche alla luce del principio dell’unicità dei segni distintivi.
Come noto, infatti, per il Codice della Proprietà Industriale è vietato adottare come domain name un segno uguale o simile all’altrui marchio se possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. Quindi è ricoperto dal divieto sia l’adozione di un nome a dominio per prodotti o servizi affini al marchio registrato, ma anche non affini, se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi ai prodotti dello stesso marchio.
Spesso però accade che principi semplici debbano essere applicati a situazioni complesse, dove la registrazioni e l’uso di marchi in momenti diversi e la scelta del domain name si alternano ed è difficile individuare chi ne ha il legittimo utilizzo.
E’ quello che è accaduto ad una vicenda decisa dalla Corte di Cassazione (sentenza n.4721 del 21 febbraio 2020) nel febbraio scorso.
La vicenda era iniziata nel 1999, quando la Signora G.S. – attiva nel settore giornalistico – aveva registrato il nome a dominio “grazia.net” per utilizzarlo contraddistinguendo l’omonimo sito web, ed aveva inoltre registrato la stessa espressione come marchio. La Arnoldo Mondadori Editore SpA (“Mondadori”), titolare della nota testata giornalistica “Grazia”, riteneva violati i suoi diritti di esclusiva sul marchio “Grazia”, registrato ancora negli anni ’60 dello scorso secolo, ed agiva in giudizio per ottenere l’inibizione dell’uso di “grazia.net” da parte di G.S.
Il Tribunale di Milano, aveva ritenuto applicabile solo in parte il principio della convalida del marchi (art. 28 CPI) ritenendo legittimo l’utilizzo del nome a dominio limitatamente al periodo anteriore al 26 marzo 2009, data in cui in cui il marchio “grazia.net” di G.S. era scaduto per mancato rinnovo. Per tale ragione, statuiva che l’utilizzo del segno “grazia.net” successivo al 26.03.2009, costituiva atto di contraffazione rispetto al marchio “Grazia” di Mondadori.
G.S. proponeva appello dinnanzi alla Corte di Appello di Milano, dove in via incidentale la Mondadori chiedeva di accertare che il marchio grazia.net non si era convalidato a causa della mala fede di G.S., la quale, nel registrare il marchio, era consapevole di violare il suo diritto anteriore. A ciò si aggiungeva l’utilizzo da parte di G.S. del marchio in forma di “mega-tag” per rendere il suo sito “grazia.net” meglio raggiungibile dai motori di ricerca. I meta-tag di un sito sono i termini e le espressioni che, sebbene non effettivamente corrispondenti al contenuto dello stesso, siano in grado di migliorare la visibilità di un sito nelle ricerche sul web.
La Corte di Appello riformava la sentenza del Tribunale di Milano dichiarando il marchio “grazia.net” non convalidato e di conseguenza illegittimo l’utilizzo del nome a dominio da parte di G.S. Quest’ultima, secondo la Corte, aveva registrato il proprio segno con l’intento di confondere e agganciare il pubblico della rivista “Grazia”, ovvero di evocare i medesimi elementi del nome a dominio registrato dalla casa editrice. Dunque, la tolleranza di tale comportamento da parte di Mondadori non rilevava ai fini della convalidazione.
A questo punto, G.S. proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello, per violazione e falsa applicazione dell’art. 28 CPI, sostenendo di avere introdotto modifiche idonee a distinguere il proprio marchio da quello della Mondadori, in particolare con l’aggiunta del suffisso “net” e lamentava la mancata dimostrazione della notorietà del marchio “Grazia” alla data della registrazione del marchio “grazia.net”.
Interessante la pronuncia della Suprema Corte, che conferma la pronuncia della Corte di Appello e negando la convalida del segno “grazia.net”.
Due gli elementi interessanti.
Innanzitutto, viene ribadita la posizione della Suprema Corte rispetto ai nomi a dominio. La Cassazione ha sempre sostenuto, anche prima dell’entrata in vigore del Codice della Proprietà Industriale che i nomi a dominio si qualificano segni distintivi atipici essendo strumenti attraverso cui accedere, nell’ambito di internet, ad un vasto mercato commerciale di dimensioni globali che consentono di identificare il titolare del sito web ed i prodotti e servizi offerti al pubblico. Tali nomi rivestono una vera e propria capacità distintiva, in quanto non si limitino ad indicare la provenienza del prodotto o del servizio, ma svolgano una funzione pubblicitaria e suggestiva che ha la finalità di attrarre il consumatore inducendolo all’acquisto.
Entrando nel merito, poi la Corte afferma che costituisce contraffazione di un marchio la registrazione di un nome a dominio che lo riproduca o lo contenga, in quanto suscettibile di indurre in confusione i consumatori circa la provenienza dei prodotti o dei servizi offerti, che potrebbero ritenere collegate le attività svolte dai due soggetti.
Inoltre, per la Suprema Corte il carattere rinomato del marchio anteriore “Grazia” di Mondadori fosse assistito dalla tutela rafforzata riconosciuta ai marchi forti, giudicando illegittime anche le variazioni che non intaccano il “nucleo ideologico” del segno (che sono invece tollerate nei marchi deboli), o che ne comportano lievi modificazioni come, nel caso specifico, l’aggiunta del suffisso “net”.
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