Un curioso caso che ha interessato l’area partenopea qualche tempo addietro, ha di recente visto il suo apice scontrandosi con l’autorità della Corte di Cassazione, che si è espressa in favore dei ricorrenti, in modo diametralmente opposto rispetto al Tribunale di Napoli, autore della sentenza impugnata.
Vediamo in breve di cosa si tratta.
Una coppia di genitori aveva preso contatti con un noto calciatore al fine di far visita alla figlia minorenne, ricoverata in stato vegetativo presso un istituto di cura e riabilitazione, con la speranza di far suscitare in lei un qualsiasi tipo di reazione.
Durante il suddetto incontro, non era certamente mancata l’occasione di scattare fotografie per suggellare il ricordo dell’evento e il padre aveva anche manifestato il proprio consenso per rendere pubblica tale notizia in virtù del “nobile” gesto esperito dal calciatore in questione.
E fino a qui siamo tutti d’accordo sul fatto che non rileva alcun tipo di anomalia, se non il simbolico, ma pur sempre prezioso, gesto del calciatore, che si era prestato a presenziare in una simile circostanza e aveva anche fatto dono alla giovane di una sua maglia autografata.
Dunque cosa è successo di tanto grave da far esperire un’azione legale da parte dei genitori?
Ebbene, qualche giorno dopo la visita, numerose testate giornalistiche avevano diffuso non solo la notizia, ma anche le immagini che erano state scattate che ritraevano il famoso calciatore vicino al letto della ragazza, di cui veniva debitamente oscurato il volto, con la maglia regalata e i due genitori. Proprio la distribuzione di tali immagini fu il fattore scatenante dell’azione legale, contestando in particolare il fatto che detta diffusione ledesse il diritto alla riservatezza all’immagine ed alla reputazione degli istanti.
Ora, da un punto di vista squisitamente giuridico, la Corte, al fine di inquadrare giuridicamente la problematica, rileva come la tutela del diritto all’immagine non sia un bene costituzionalmente protetto, ma è comunque considerato parte integrante dell’articolo 2 della Costituzione, ovvero tra i diritti della personalità e quelle situazioni giuridiche soggettive che consentono un pieno ed integrale sviluppo della persona.
Tuttavia, il codice civile prevede espressivamente una norma in tal senso, l’art. 10.
In particolare, tale articolo attribuisce al soggetto titolare del diritto la facoltà di apparire solo se e solo quando questi lo voglia.
Ne consegue che il mostrarsi agli altri diventa solo una possibilità e una manifestazione della libertà individuale.
La normativa del codice civile va applicata e interpretata alla luce di altri importati norme: gli articoli 96 e 97 della legge sul diritto d’autore.
Da tali norme emerge che, di fatto, il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso della persona ritratta a meno che non si tratti di un qualcuno di particolarmente famoso (come il calciatore di cui abbiamo parlato) o reso noto dall’ufficio pubblico ricoperto o comunque per altre ragioni e necessità enumerate dalla legge. Il diritto all’immagine gode di tutela anche nel caso in cui la riproduzione o la diffusione non arrechino pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’interessato, avvicinandosi parzialmente a quanto accade per la riservatezza, con il solo discrimine del non avere ad oggetto le vicende private del soggetto ma solamente un dato attinente all’identità personale.
Hanno invece valore costituzionale il diritto di cronaca e il diritto di riservatezza, tra i quali deve essere operato un equo bilanciamento, che solitamente spinge a favore del secondo qualora sia coinvolto un minore e laddove non si riscontri alcun tipo di parametro che attesti l’utilità sociale della notizia.
Infine si ricorda che l’art.8 del codice deontologico dei giornalisti impone una verifica da operare in concreto riguardo all’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata.
Ma torniamo al nostro caso.
Secondo la Corte il tribunale partenopeo aveva omesso di operare una distinzione netta tra accettare e prestare consenso alla pubblicazione della notizia e dare assenso anche alla pubblicazione delle relative fotografie.
Ne consegue che l’evento a cui ha partecipato il calciatore meritava sì di essere divulgato al pubblico in ragione dell’interesse di quest’ultimo di venirne a conoscenza. Tuttavia, la notizia risultava già completa ed esaustiva senza la necessità di corredarla di una fotografia.
Il principio affermato dalla Corte, riguarda in particolare l’essenzialità della diffusione (anche) delle immagini, ai fini dell’informazione fornita con la pubblicazione della notizia della vicenda. Secondo la Corte questo elemento era stato dal Tribunale completamente trascurato, in virtù della sostanziale ritenuta sufficienza dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti. Invece oltre al diritto di cronaca doveva essere verificata la sussistenza dell’interesse pubblico alla diffusione delle immagini, tale omesso accertamento ha comportato la violazione delle norme sopra descritte.
Inoltre trattandosi di una ragazza minorenne, è obbligatoria una verifica più profonda dell’esistenza e della validità inconfutabile del consenso prestato dal rappresentante legale o dal tutore.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, pronunciando il seguente principio di diritto:
«L’interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca, deve essere tenuto distinto da quello, affatto diverso ed al primo non sovrapponibile, riguardante la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità postula, giusta la disciplina complessivamente desumibile dall’art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, artt. 96 e 97, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137 ed art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata ai fini della completezza e correttezza della divulgazione della notizia, oppure il consenso delle persone ritratte, o l’esistenza delle altre condizioni eccezionali giustificative previste dall’ordinamento».
In conclusione, si può dire che il diritto all’immagine e i diritti di cronaca possono definirsi diritti “complementari” e potranno coincidere solo in presenza di determinate condizioni.