Con il triste aumento che ha segnato le statistiche dei contagi di Coronavirus nell’ultimo mese, uno dei dubbi più frequenti riguarda le modalità di gestione di un caso di sospetto o di positività in azienda. Tenendo in considerazione le FAQ del Garante dedicate al COVID-19 nel contesto lavorativo, abbiamo provato a semplificare i principali passaggi, in termini operativi, dal momento della rilevazione di un caso sospetto, o di positività accertata, in relazione al corretto trattamento di dati personali in azienda.
Indice
Come rilevare e gestione i casi sospetti?
I sintomi da Covid-19 potranno tipicamente essere rilevati al momento dell’accesso in azienda o durante le attività lavorative.
Una delle pratiche più comuni riguarda la rilevazione della temperatura corporea, che permette di impedire l’ingresso a coloro che abbiano un valore pari o superiore a 37,5°C. La temperatura corporea, quando associata all’identità dell’interessato, costituisce un trattamento di dati personali: laddove sia prevista tale rilevazione, quindi, è necessario esporre l’informativa sul trattamento dei dati personali. Inoltre, è possibile registrare il solo superamento della soglia stabilita (senza registrare l’effettiva temperatura), quando occorre documentare le ragioni che impediscono l’accesso.
Se non è stato implementato l’uso di un termoscanner, l’azienda potrà invitare a compilare un modulo di autodichiarazione al fine di precludere l’accesso in azienda a chi abbia avuto contatti con soggetti positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio. Si ricorda che l’autodichiarazione deve prevedere la raccolta dei soli dati necessari, adeguati e pertinenti per prevenire il contagio, evitando di chiedere informazioni aggiuntive (es. sulla persona risultata positiva, le specifiche località visitate, altri dettagli relativi alla sfera privata).
Diversamente, quando il sospetto di contagio nasce durante la permanenza presso una sede aziendale, ad esempio per la comparsa di sintomi o dall’esito di test di screening, bisogna provvedere all’immediato isolamento del caso sospetto (in luogo identificato) e fornirgli i necessari dispositivi di protezione.
Comunque nasca il sospetto, il dipendente sintomatico dovrà certamente informare il datore di lavoro (di norma attraverso l’Ufficio HR) per la gestione della propria indisponibilità, e soprattutto avvisare il medico curante, che effettuerà le proprie valutazioni per provvedere, se necessario, a contattare le Autorità sanitarie competenti che prenderanno in carico il caso.
Come comportarsi nei casi di positività accertati?
L’accertamento della positività al COVID-19 fa scattare l’obbligo del dipendente di segnalare la situazione di pericolo al datore di lavoro o all’Ufficio HR. La segnalazione permetterà all’azienda di coordinarsi con il Medico Competente per attivare adeguate misure di contenimento, prevenzione e riduzione del rischio di contagio negli ambienti di lavoro, sempre nel rispetto della riservatezza del dipendente contagiato.
Analogamente, la riammissione nel servizio del dipendente precedentemente risultato affetto da Covid-19, o che ha presentato sintomi compatibili con il virus, potrà avvenire previa certificazione di idoneità da parte del Medico Competente.
Cos’altro può fare il Medico competente?
Nel contesto dell’emergenza, gli adempimenti di sorveglianza sanitaria in capo al Medico Competente comprendono la possibilità di sottoporre i lavoratori a visite straordinarie. A titolo di esempio, il Medico Competente potrà disporre l’effettuazione di test sierologici, e stabilire le visite e gli accertamenti finalizzati a valutare la riammissione al lavoro.
Ad ogni modo, resta valido che anche nel contesto emergenziale il Medico Competente NON può informare il datore di lavoro sulle specifiche patologie occorse ai lavoratori.
Il Medico Competente deve invece collaborare con il datore di lavoro e le RLS/RLST per proporre tutte le misure di regolamentazione legate al Covid-19 e segnalare al datore di lavoro quei casi specifici di fragilità dello stato di salute del dipendente, che ne suggerisca l’impiego in ambiti meno esposti al rischio di infezione (evitando comunque di comunicare al datore di lavoro la specifica patologia sofferta dal lavoratore).
Come trattare e a chi comunicare i dati del dipendente affetto da Covid-19?
Il datore di lavoro può lecitamente venire a conoscenza dell’identità del dipendente affetto da Covid-19 o che presenta sintomi compatibili con il virus, nei seguenti casi:
a) viene informato direttamente dal dipendente, oppure i sintomi si manifestano all’ingresso della sede di lavoro o durante la prestazione lavorativa;
b) viene informato dall’autorità sanitaria, nell’ambito di una richiesta di collaborazione;
c) viene informato dal Medico Competente, in fase di riammissione sul luogo di lavoro del dipendente già risultato positivo all’infezione da Covid-19.
I dati dovranno sempre essere trattati con la dovuta riservatezza, per le sole finalità di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro o per adempiere agli obblighi di collaborazione con gli operatori di sanità pubblica.
Il datore di lavoro, pertanto, NON può comunicare a terzi i nomi dei dipendenti che hanno contratto il virus, se non in casi espressamente autorizzati per legge. In sintesi:
• deve informare le autorità sanitarie e collaborare con esse;
• NON può comunicare i nominativi del personale contagiato agli altri lavoratori (compito che resta in capo alle autorità sanitarie);
• NON può comunicare i nominativi al RLS, né ad altri soggetti che non ne abbiano effettiva necessità.
Inoltre, è bene sapere che le richieste di informazioni provenienti dall’esterno, relative ai casi di sospetta o accertata positività, possono provenire unicamente dai soggetti autorizzati a procedere con le verifiche per la ricostruzione dei “contatti stretti” (Protezione Civile e ASL).