Circa un anno fa l’Italia ha inserito nel decreto Semplificazioni una prima norma di definizioni di “smart contract” e di “tecnologie basate su registri distribuiti”, attribuendo ai primi (se operanti sulle seconde) il valore di forma scritta, previo rispetto di determinate caratteristiche.
Si parla molto di smart contract e blockchain, ma cosa sono e cosa servono non è sempre chiaro anche in ragione della carenza di una normativa europea di riferimento.
Gli Smart Contract innanzitutto non sono una novità da associare necessariamente alla Blockchain. In effetti sono stati oggetto di sperimentazione già negli Anni ’90 e sono stati ideati ben prima, e hanno una loro specifica dimensione a prescindere dalla Blockchain. Certamente il fenomeno Blockchain sta permettendo di avere garanzie di affidabilità e sicurezza necessarie per affermarsi, ma in questa sede ci concentreremo sugli Smart Contract.
Lo Smart Contract non è un contratto in senso giuridico.
Di fatto uno Smart Contract è la “traduzione” o “trasposizione” in codice di un contratto – o di una parte di esso – in modo da verificare in automatico l’avverarsi di determinate condizioni e di eseguire in automatico azioni nel momento in cui le condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate. In altre parole, lo Smart Contract è basato su un codice che “legge” sia le clausole che sono state concordate sia la condizioni operative nelle quali devono verificarsi le condizioni concordate e si auto-esegue automaticamente nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate.
A livello normativo, la legge maltese nel 2018 è stata tra le prime a introdurre il concetto, mentre in Italia la L. 12/2019 di conversione del D.L. 135/2018, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento le definizioni di “smart contract” e di “tecnologie basate su registri distribuiti”, attribuendo ai primi (se operanti sulle seconde) il valore di forma scritta, previo rispetto di determinate caratteristiche.
Dispone infatti all’art. 8-ter del decreto:
“2. Si definisce “smart contract” un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
3. La memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014. 4. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, l’Agenzia per l’Italia digitale individua gli standard tecnici che le tecnologie basate su registri distribuiti debbono possedere ai fini della produzione degli effetti di cui al comma 3”.
Pertanto sono due gli aspetti fondamentali dello smart contract:
1- automazione: ovvero la capacità di autoesecuzione;
2- avvio predeterminato: avvio o inizio di una determinata azione al momento dell’avverarsi di una condizione (o set di condizioni) predeterminate.
A livello legale, gli smart contract se correttamente impostati ed implementati possono permettere indubbi vantaggi: (ad esempio) certezza dell’esecuzione degli obblighi contrattuali, trasparenza delle obbligazioni contrattuali (sia prima che dopo l’esecuzione delle clausole preimpostate), semplificazioni di alcuni processi. Ma pongono sicuramente alcune problematiche o dubbi, quali ad esempio: il rapporto con il “mondo esterno”, chi risponde in caso di errori o problemi legati, come si coordina lo smart contract con la normativa generale sui contratti e – naturalmente – il rapporto con il GDPR.
Sulle problematiche degli Smart Contract è interessante un recente documento dell’European Union Blockchain Observatory & Forum, iniziativa della Commissione europea dove troviamo un ampio capitolo dedicato ad analizzare le questioni giuridiche sollevate dall’utilizzo di smart contract. Si ricorda che a livello europeo non c’è una normativa specifica di riferimento, quindi nel documento si esaminano le problematiche alla luce di altra normativa esistente.
Nel rapporto si sottolinea che secondo la definizione del padre di Ethereum, Vitalik Buterin, smart contract sta ad indicare un software, un codice, capace di essere eseguito senza il controllo da parte di un individuo.
Quindi lo smart contract non è un contratto inteso nel senso giuridico, ma è un codice. Esso tuttavia può servire per compiere su blockchain diverse azioni: creazione e passaggio di asset digitali, creazione di valuta, governance (DAO’s) tra soggetti diversi ed anche creazione ed esecuzione di accordi tra le parti. Il rapporto dunque introduce una distinzione tra:
• smart legal contract, che sono codici in blockchain che rappresentano un accordo tra parti diverse;
• smart contract che hanno implicazioni legali, che sono nuove costruzioni con effetti legali.
Nel report si affrontano due temi importanti: se lo smart contract soddisfa i requisiti formali che ogni ordinamento nazionale richiede affinché un accordo tra le parti sia contrattualmente vincolante e la firma del contratto.
Per essere legalmente validi in Europa con il Regolamento eIDAS, le firme digitali su una blockchain devono essere verificate da un TSP. Uno smart contract dovrebbe essere in grado di accertare se la firma è valida, se si riferisce alla persona corretta e indentificata e, in tal caso, se quella persona ha davvero l’autorità per firmare. In contesti commerciali, ciò potrebbe significare essere in grado di accedere ai database dell’azienda o ad altri oracoli affidabili, che se del caso dovrebbero essere autorizzati.
La seconda questione riguarda il come conciliare lo smart contract – immutabile- con le cause sopravvenute che possono inficiare l’accordo sottostante.
Insomma, conclude il report sul punto, l’uso di contratti intelligenti non risolve o elimina il problema di violazioni del contratto, della responsabilità contrattuale ed esecuzione. Il problema della mancanza di strumenti disponibili per identificare facilmente gli attori su una rete basata su blockchain si pone quindi di nuovo.
Sono ancora aperti quindi molti problemi lato tecnico, la cui soluzione consentirebbe probabilmente di risolvere alcune criticità legali. Il problema più grosso, soprattutti per noi giuristi, resta l’assenza di una regolamentazione unica europea che sostituisca leggi nazionali frammentate, senza la quale è difficile ottenere la fiducia degli utilizzatori di tali strumenti.