Indice
Il caso
Il caso esaminato coinvolge due società operanti nel settore della vendita di autoveicoli, una delle quali ha convenuto in giudizio l’altra, lamentando il fatto che quest’ultima aveva realizzato atti di concorrenza sleale finalizzati allo sviamento della clientela e consistiti nell’illecita asportazione di dati informatici e documentazione riservata.
In particolare, la società attrice sosteneva che un suo ex dipendente era stato assunto dalla società concorrente e, utilizzando dati confidenziali estratti da piattaforme della parte attrice, aveva tentato di attirare clienti dell’ex datrice di lavoro. Secondo quest’ultima tali informazioni sono qualificabili come segreto aziendale poiché avente un significativo valore economico in quanto patrimonio acquisito e affinato dalla società nel corso degli anni.
Tali condotte avrebbero, dunque, costituito:
- acquisizione non autorizzata di segreti commerciali ai sensi degli 98–99 del Codice della proprietà industriale, in quanto i dati contenuti nei sistemi della società avevano natura confidenziale ed erano accessibili solo con user ID e password;
- concorrenza sleale ai sensi dell’ 2598 comma 3 del Codice civile in quanto l’illecita asportazione di dati riservati era finalizzata allo sviamento della clientela.
Prima di verificare se i giudici torinesi abbiano accolto tale ricostruzione di parte attrice occorre analizzare i due passaggi fondamentali del loro ragionamento.
Le informazioni confidenziali: artt. 98 e 99 Codice della proprietà industriale
In primis, il Tribunale di Torino ha ricordato che le informazioni segrete tutelate dagli artt. 98 e 99 del Codice della Proprietà industriale sono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico industriali, comprese quelle commerciali, che soddisfano i tre seguenti requisiti.
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SEGRETEZZA
Le informazioni per essere tutelate non sono generalmente note o facilmente accessibili agli esperti e agli operatori del settore.
La segretezza è quindi da intendersi in senso relativo e non assoluto, non necessitando, in particolare, che le informazioni siano del tutto nuove (come invece nel caso di un brevetto), potendo esse avere un valore anche in termini di aggregazione strategica in funzione dell’attività aziendale.
Conseguentemente non possono essere tutelate né le informazioni conosciute in base allo stato della tecnica, né quelle ricavabili in autonomia da un esperto del settore attraverso l’osservazione e l’esame scompositivo, in tempi e con costi ragionevoli
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VALORE ECONOMICO
In quanto segrete hanno un valore economico.
Non è richiesto l’accertamento di un valore di mercato (ossia un prezzo di vendita) di tale insieme di informazioni, ma è sufficiente che esso sia suscettibile di sfruttamento nell’ambito di un’attività economica, e che assicuri un vantaggio concorrenziale rispetto alle altre aziende del
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MISURE DI SICUREZZA
Naturalmente se sono informazioni segrete devono essere sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
Nel decidere e valutare quali misure di segretezza adottare, l’imprenditore dovrà prendere in considerazione il progresso tecnologico, cioè lo stato dell’arte e i costi di attuazione delle misure stesse, in rapporto alla tipologia di informazioni che intende tutelare, secondo un principio di proporzionalità.
Nelle imprese 4.0, l’insieme di quest’ informazioni costituisce uno dei principali valori del patrimonio sociale, un intangibile asset strategico dell’impresa, meglio noto come know-how.
Il know-how è costituito da un ampio e variegato patrimonio di conoscenze e abilità operative, di tipo tecnologico, commerciale o strategico, non protetto da copertura brevettuale. Fanno parte del know-how anche i segreti commerciali (trade secrets), cioè le informazioni riservate inerenti in senso lato le attività commerciali di un’impresa e quindi, per esempio, liste di clienti e fornitori, piani aziendali, ricerche e strategie di mercato, metodologie di ricerca e sviluppo, nonché esperienze pratiche accumulate nel corso degli anni.
La tutela legale del know-how aziendale è fondamentale per garantire la competitività e il successo delle imprese ed è proprio l’art. 98 del Codice della proprietà industriale a sottolineare l’importanza della riservatezza per il mantenimento e la protezione del know-how aziendale.
L’articolo 99 del Codice della Proprietà Industriale disciplina, invece, la protezione del know-how aziendale contro l’illecita concorrenza da parte di ex dipendenti o collaboratori dell’azienda. Esso stabilisce che tali soggetti non possono utilizzare o divulgare il know-how di cui sono venuti a conoscenza durante il loro rapporto con l’azienda, a meno che non vi sia un consenso scritto da parte del datore di lavoro. In caso di violazione di questa disposizione, l’azienda ha diritto a richiedere il risarcimento dei danni subiti e può adottare le misure necessarie per proteggere il proprio know-how.
Insomma, gli articoli 98 e 99 del Codice della Proprietà Industriale offrono una base giuridica solida per la protezione del know-how aziendale in Italia.
Non sono, tuttavia, le uniche…
La concorrenza sleale: art. 2598 comma 3 Codice civile
Nel caso in cui non sussistano i requisiti per applicare la normativa sui segreti commerciali sopra descritta, l’uso di informazioni aziendali “riservate” realizzato da parte di un concorrente secondo modalità scorrette è idoneo a causare un danno concorrenziale e, quindi, può costituire una violazione delle norme in tema di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 del Codice civile, comma 3.
Nel caso specifico, tale norma codicistica– che disciplina genericamente gli atti contrari alla correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda – viene richiamata in quanto la condotta dell’azienda convenuta può integrare la fattispecie di sviamento della clientela.
Il tribunale di Torino ha, allora, richiamato la giurisprudenza recente della Suprema Corte in materia di sviamento della clientela e, precisamente, i due connotati che lo stesso deve assumere per essere considerata concorrenza sleale.
In primis, lo sviamento deve essere provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Non è quindi sufficiente il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso ad un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori.
Tale ipotesi non si configura nel caso in cui un ex dipendente, non vincolato da legittimo patto di non concorrenza, utilizzi delle conoscenze e rapporti commerciali.
Il secundis, la condotta è illecita se si verifica regolarmente e sistematicamente.
Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.
Il giudizio del Tribunale di Torino
La sentenza si divide in due parti.
Innanzitutto, il Tribunale di Torino ha escluso che la sottrazione dei dati indicati dall’attrice potesse costituire una violazione della normativa sui segreti commerciali, poiché i sistemi informatici dai quali sarebbero state trasferite le informazioni oggetto del procedimento giudiziario non appartenevano all’azienda automobilistica attrice, essendone questa una mera utilizzatrice degli stessi. È emerso, inoltre, che la banca dati caricata sui software in oggetto è liberamente accessibile da parte di tutti i concessionari, semplicemente inserendo nominativo del cliente e targa del cliente: lo scopo di tale software è, appunto, condividere i dati immessi, relativi alla clientela e alle condizioni contrattuali applicate con l’intera rete dei venditori.
Pertanto, secondo i giudici, mancano i requisiti stabiliti dall’articolo 98 del Codice della proprietà industriale: le informazioni non si qualificano come segrete, in quanto facilmente accessibili a tutti gli esperti del settore e non erano state adottate misure di sicurezza adeguate a mantenere riservati i dati inseriti nei sistemi.
Il Tribunale, quindi, ha affrontato il tema sotto il profilo della concorrenza sleale.
Secondo il Tribunale il comportamento della convenuta si è conformato alle normali pratiche competitive, considerando anche che nel settore di riferimento la clientela è legata al venditore attraverso un rapporto fiduciario e i clienti possono rivolgersi a più concessionari per cercare le migliori condizioni di vendita. Inoltre, il numero di clienti che sarebbero stati influenzati a discapito dell’attrice non è stato sufficiente a costituire un’acquisizione sistematica della clientela; quindi, non si è configurato alcun profilo di illiceità nell’operato della convenuta.
Di conseguenza, il Tribunale di Torino ha concluso per il rigetto completo della domanda attrice, escludendo anche la sussistenza della fattispecie di sviamento della clientela.
Conclusioni
Nonostante l’Azienda attrice non abbia visto soddisfatte le proprie ragioni, la sentenza dev’essere accolta positivamente in quanto ci offre la possibilità di delineare un quadro legale più solido in materia di informazioni confidenziali e di segreti commerciali.
Il know how aziendale, come sottolineiamo sempre ai nostri clienti, rappresenta un elemento chiave per il successo delle imprese, consentendo loro di ottenere importanti vantaggi competitivi nel mercato. È fondamentale, pertanto, che le aziende – in via preventiva – comprendano l’importanza di proteggere le proprie informazioni riservate e adottino misure adeguate a preservarle. La tutela di tale asset immateriale contribuisce, non solo, alla protezione degli interessi delle imprese, ma favorisce anche l’innovazione e lo sviluppo economico nel paese.
I passaggi fondamentali per garantire un efficace tutela del know-how sono i seguenti.
Per prima cosa occorre individuare le informazioni che possono qualificarsi come confidenziali e aventi un valore economico e strategico per la propria realtà aziendale. Infatti, come precisato anche dal Tribunale di Torino, non tutte le informazioni che le aziende utilizzano possono dirsi tali.
Una volta “mappate” e individuate le informazioni qualificabili come segrete ai sensi del 98 del Codice della proprietà industriale, dovranno essere predisposte e applicate delle misure di sicurezza idonee a garantirne la protezione. Ad esempio, possono considerarsi adeguate a tutelare segreti commerciali delle aziende le seguenti misure:
- predisporre ostacoli fisici, come armadi chiusi o segregazione informatica
- approntare blocchi informatici, come password e codici di sicurezza
- fornire indicazioni al personale in ordine alle modalità di classificazione e conservazione dei documenti
- adottare modalità di marcatura, come la dicitura “riservato”
- inserire apposite previsioni contrattuali, come l’accordo di riservatezza (non disclosure agreements, i c.d. “NDA”) con il quale si garantisce all’altra parte di non rivelare a terzi determinate informazioni di cui giunga a conoscenza, in qualsiasi forma. (Sul tema si rimanda al nostro articolo La divulgazione di foto e informazioni è sempre lesiva del know how aziendale)